venerdì 5 ottobre 2007

La maternità in un call center

Ebbene sì, strano ma vero, anche Dory, precaria con contratto a tempo indeterminato, va in maternità.
"Strano" perché in un’azienda come la nostra sembra un lusso, anche se a onor del vero il congedo per maternità sarebbe previsto anche per i co.pro. Dico "sarebbe" perché si può aggirare la cosa. In altre aziende lo fanno, ma forse non sono quei call center con gli ispettori fuori dalla porta pronti a prenderti in castagna, o spesso non sono nemmeno call center.
Comunque io qui ho sempre visto rientrare dalla maternità qualunque collaboratrice l’avesse voluto.
"Strano" anche perché vado, ma non so davvero cosa troverò al mio rientro.
Questo a fronte del gratuito e inopportuno accanimento istituzionale nei confronti dei call center. Che ci sta sempre su, come una spada di Damocle.
"Vero" perché è vero, finalmente. Ma questa è una cosa tutta mia.
"Vero" anche perché ci vuole effettivamente del gran coraggio: ma ad un certo punto le scelte si devono fare e basta, poco importa aspettare che passi l’ennesima crisi e perdere anni correndo dietro ad una sicurezza che in posti di lavoro come questo non c’è, e mai ci sarà. Qualunque sia il trattamento contrattuale. E ancor più sapendo che si fa parte di quel 30% delle coppie che si sono formate sul luogo del lavoro.
E poi il gioco vale benissimo la candela!
Venendo a me (mi permetto in questi mesi di concedermi un po’ di egocentrismo) vorrei che qualcuno mi desse conferma. Dato che non ho trovato risposte a riguardo, nemmeno sul sito dell’INPS: sembra infatti che in questo Paese un bambino debba essere lasciato a casa dalla mamma a soli 3 mesi d’età, questo perché lei rientri a lavoro per evitare di dover continuare a campare con il solo 30% del proprio stipendio.
Bene, spero che non sia così. Perché allora è vero che viviamo in un Paese di maschilisti (cosa di cui sono già convinta di mio), un mondo del lavoro sciovinista (e come negarlo!) e un’Italia che ancora continua a pensare alle cazzate, invece di concentrarsi su quanto c’è di più importante al mondo: la crescita di una nuova vita. Indipendentemente da che sia figlio di matrimonio o dico o single o altro.
Il tutto per disincentivare la crescita professionale di una donna! Per aiutare quegli uomini che non vogliono che le loro mogli lavorino!
Certo è più importante parlare delle solite, stancanti, incomprensibili e noiose pensioni. Allora dov’è la previdenza sociale? Si riduce solo a queste ultime? Cioè a quella parte di persone che, giustamente o no, è stufa di lavorare, anche se potrebbe continuare a farlo benissimo e che non si sente sminuita a farsi mantenere da noi che alla sua età subiremo sicuramente un trattamento peggiore. E poi si sta solo a parlare di quello. Ma quante riforme saranno state fatte negli ultimi tempi sulle pensioni? Quante invece sulle maternità? Hanno solo avuto il coraggio di inserire una cosa inutile come la paternità (ma che uomo con una famiglia normale di padre e madre assieme ne usufruisce?).
Insomma quante riforme sulla previdenza sociale sono state fatte in questi anni che non riguardassero le pensioni?
Mio padre giustamente mi dice: "Preferirei andarmene in pensione con qualche euro in meno, sapendo però che quei soldi vanno per mantenere ancora a casa per qualche mese in più una neo-mamma." Aggiunge però: "anche perchè poi i soldi comunque te li dovrò sborsare io, per aiutarti!"
Papà, ti voglio bene, meno male che ho te e soprattutto guai a chi non ti ha!

venerdì 21 settembre 2007

La vera storia di Torello Carnico

Questa è la storia del principe Torello Carnico, un principe senza corona e senza scettro. Sfruttato da un sistema che gli chiede responsabilità ma ricambia con pochi spiccioli mensili. Addirittura di meno dei suoi sottoposti.
C’era una volta un montanaro di nome Torello Carnico,
questo giovane ometto era venuto dalle non molto lontane montagne della Carnia per stabilirsi sulla costa Triestina.
Sicuramente non si sarebbe mai aspettato un giorno di essere incoronato Principe successore di Miss Prezzemolina, dopo una sua breve, ma intensa, esperienza a corte.
In realtà non si riuscì mai a capire cosa spinse il Regno Iwik a questa scelta, ma sicuro per i sudditi la gioia di essersi sbarazzat(e) di Prezzemolina fu tale da soffocare ogni sospetto.
Certo fu anche che le cose tutto sommato cambiarono, e Torello ne diede un segnale chiamando da quel momento i suoi sudditi "cittadini"
D’altra parte si trattava di un principe fuori dal comune: in primo luogo Torello non ebbe mai uno scettro né una corona (il suo unico scettro era il giornale "Unità" sotto braccio), anche se gli erano stati promessi (mentre stranamente Prezzemolina continuava a usufruirne…), poi anche il salario da Principe non era minimamente cambiato rispetto a quello da suddito, anzi era più basso di quello dei sudditi stessi (probabilmente volendo vincerebbe una vertenza, altro che schiavi moderni…), e non ultimo anche il trono fu abbastanza scomodo.
Infatti, proprio nel periodo della sua incoronazione, un tale Conte Damiano aveva fatto un Editto, secondo cui erano da stabilizzare tutti i sudditi che rispondevano ai numeri verdi. Fin qui, date le tendenze sinistroidi di Torello, nulla da dire, se non fosse per il fatto che poi erano stati inviati nei vari principati dei "controllori" a "informare" i sudditi a riguardo, e se non fosse stato che in realtà avevano invece multato il Regno.
Per non parlare dei Sindacati, una istituzione tutta nuova per quel periodo Medioevale, dalle bizzarre idee di tutelare il diritto al lavoro dei sudditi.
Non in ultimo Torello dovette far fronte al gran caos in cui si trovò d’improvviso il Regno di Iwik, con conseguenze ancora non chiare e poco rosee.
Tutte problematiche che il Principe Torello Carnico prese comunque a cuore, cercando di mantenere in tutti i modi in piedi il suo principato.
A questo punto ci si chiede che senso ha per pochi euro al mese prendere la merda di tutti, dei sudditi che chiedono e si lamentano e dei Re che non rispondono e si lamentano. Perché in un’azienda, ehm regno, normale una situazione del genere non si verificherebbe.
A Torello do un consiglio, con il cuore: forse è meglio che termini gli studi, dato che la tua laurea varrebbe molto. Perché vedi, esistono lauree di serie A e lauree di serie B, come anche aziende di serie A e aziende di serie B. Noi lavoriamo in una di queste ultime, che accolgono laureati di serie B, come me e non laureati (e maschilisti). Dove non importano le competenze, la preparazione e i titoli. Secondo me sotto sotto neanche chi ci sta a capo ci crede. Per questo veniamo sfruttati, rimanendo sempre sul filo del rasoio e chiedendoci se il nostro lavoro un domani avrà un valore.
Invece con la tua laurea di serie A potresti entrare in un’azienda di serie A, quelle in cui sono ammessi preferibilmente anche raccomandati e "conoscenti di".
Purtroppo ad oggi "qualcuno" ha deciso di colpire la nostra, come altre aziende di serie B.
Non mi è ancora chiaro il motivo di questo accanimento.
Ma di una cosa ti dico che sono certa: tu qui sei sprecato, meriti meglio tu, come la tua atipica "famiglia" …
E se è quello che vuoi è meglio muoversi, e farlo subito, senza esitazioni o prendere tempo.
Perché da questa gente mi sa che abbiamo poco da sperare e non vorrei che ne uscissi avvilito.

giovedì 13 settembre 2007

La favola di Barbie Prezzemolina

Prologo: E’ passato un anno da quando mi hai detto "quest’azienda non sa che farsene di gente come te", ed ho pensato di fare cosa carina dedicandoti una bellissima favola.
In cui tu sei, come vuoi sempre, l’indiscussa protagonista.

C’era una volta Barbie Prezzemolina,
questa bella bambolina era in realtà un po’ irrequieta, perché ancora non aveva capito cosa fare da grande. Ma una cosa era certa, a lei piaceva tanto mettersi in mostra e fare tutto da sola, in modo che tutti potessero sempre dirle che brava che era.
Per questo Prezzemolina era una Barbie malfidente, diffidente, accentratrice, e poco incline alla condivisione.
Un giorno Barbie Prezzemolina viene incoronata a Principessa di uno dei principati dell’ormai famoso regno di Iwik.
In realtà si trattava solo di un ritorno, perché Prezzemolina era già stata a Trieste, responsabile dei sudditi che rispondono ai numeri verdi, poi si era licenziata per andare altrove, poi era tornata nel regno, ma in un altro principato e poi ancora non contenta era andata di nuovo via. Quindi i sudditi, che la conoscevano bene per frasi del tipo "tu un contratto qui dentro non lo avrai mai!", appena seppero della salita al trono di Prezzemolina si ribellarono e alcuni piansero. Inutilmente perché i messaggeri del regno non li ascoltarono.
Prezzemolina quindi prese ben presto le redini del castello, tra tante la sua priorità fu abbellirlo, subito infatti agghindò il suo ufficio con quadri, candele e stronzate acquistate all’Ikea. Dopo pochi mesi elargì aumenti per comprarsi la simpatia dei suoi sudditi i quali però ben presto capirono che in realtà questa Barbie non era altro che un contenitore, incapace di avere una propria opinione, proprie idee e soprattutto di umanità.
Infatti Barbie Prezzemolina non si arrabbia mai e anche se accade il suo volto ha sempre la stessa espressione, poi anche i suoi movimenti sono molto legati, come anche le sue abitudini. Fa la salutista andando a fare footing e mangiando pochissimo, in compenso fuma 2 pacchetti di sigarette al giorno. Tra l’altro Barbie Prezzemolina è una diffidente incapace di condividere il lavoro con gli altri, incapace di lavorare in gruppo e gli obbiettivi da perseguire sono sempre e solo i suoi. In compenso le piace essere sempre in mezzo ad ogni occasione e non si perde occasione per ficcare il naso negli affari lavorativi altrui.
Questa Barbie è stata confezionata con un piccolo errore di fabbrica, nelle orecchie probabilmente ci hanno messo troppa plastica, dato che non è assolutamente capace di ascoltare.
A causa di ciò col tempo sul regno si sparse l’apatia, lo scoraggiamento, la sfiducia e l’umiliazione tra i suoi sudditi che tanto avevano alacremente lavorato per molti più anni di lei, accumulando capacità ed esperienze che lei stessa denigrava e sminuiva ogni giorno davanti a loro, con umiliazioni, litigi e discussioni. Era anche molto brava a far litigare le persone tra loro, spargendo la zizzania e facendo sì che non ci fossero mai riunioni di corte nelle quali si potesse tenere il confronto. Durante il regno di Prezzemolina, vennero molti messaggeri a controllare la situazione del principato.
Ma questi facevano sentire i sudditi ancora più demotivati, dato che non si sa perché la difendevano sempre. Prezzemolina era anche un po’ stupidamente furba, dato che il giorno prima dell’arrivo dei messi faceva sì di tenere finte chiacchierate di chiarimento con i sudditi allo scopo di ottenere che nessuno parlasse male di lei. Cosa che invece lei puntualmente faceva.
Fu così che il regno non ebbe più uno staff, non ci fu più unione e ben presto si arrivò alla rovina.
Finalmente qualcuno si decise a far fuori Prezzemolina o si fece fuori lei stessa, non si è ancora capito.
Al momento del declino più totale infatti arrivò un bel Principe, Torello Carnico, che prese le redini del principato e ascese al trono.
Ma da qui inizia un’altra favola.
Prezzemolina di sicuro scese dal trono, ma non ha mai rinunciato a farsi cadere la corona.
E’ ancora lì, convinta che i privilegi per lei esistano ancora, certa di essere una grande manager.
Ignara o inconscia del fatto che nei momenti di crisi bisogna mettersi una fune al collo, ingoiare il rospo e imparare a remare con gli altri.
Nella stessa direzione, soprattutto se si è sulla stessa barca.
Purtroppo questo regno è invece fatto di tanti baronetti che non vogliono perdere la loro corona e che si sentono ancora dei privilegiati, anziché semplici lavoratori che devono combattere tutti assieme per tenere stretto il loro posto di lavoro.

mercoledì 12 settembre 2007

Grazie Mille (Fuori Tema)

C’è una cosa che in questi anni mi ha sempre un po’ spiazzata, cioè una mia inspiegabile passione musicale per le canzoni di Max Pezzali. Strano perché i miei gusti musicali sono ben diversi e comunque non molto "maniaci", si limitano al cd ascoltato di tanto in tanto in macchina, e non sempre, quando non sono sola.
Preciso che il mio idolo è e sarà sempre solo Lucio Battisti.
Invece capita nel mio frequente peregrinare solitario per il Friuli di togliere, appena rimasta sola in auto, dall’apparecchio qualsiasi cd e inserirne uno di Max Pezzali. Poi mi metto ad ascoltare una canzone, ripetendo sempre la stessa e la canticchio tutta contenta. Una volta il massimo era anche fumarmi un po’ di sigarette, nel frattempo che anche guidavo. Ora non lo faccio più (solo perché ho smesso).
Stamattina mi è capitato dopo tanto tempo di andare a lavoro in macchina da sola. Ed infatti la prima cosa è stata accendere l’autoradio ed ascoltarmi "Lo strano percorso".
E di colpo ho realizzato.
Ho realizzato di quando in treno, al ritorno dalla vacanza "premio" per il diploma di maturità, con gli amici cantavamo "Hanno ucciso l’Uomo Ragno". E quando accompagnandomi con "Nord Sud Ovest Est", ho dato il mio primo esame all’università.
Allora erano semplicemente canzoni che si sentivano alla radio, la vera passione è nata accompagnando mio fratello e un suo amico al concerto degli 883.
Da allora è stato un crescendo, dai festini universitari, alle serate per sole ragazze, dalle nottate in discoteca, ai "flirt" semi-casuali: tutte le canzoni della mi vita da ragazza, Gli Anni, Una canzone d’Amore, La regola dell’amico.
Fino ad arrivare ai timori pre-laurea, quando andando in giro per il Carso a cercare reperti per la tesi in macchina ascoltavo "La dura legge del Goal", pensando se di lì a qualche mese anch’io avrei potuto dire che gli amici che c’erano sempre stati erano rimasti.
E dopo, quando con "La regina del Celebrità" ho cominciato a sentire nuove esigenze, o quando col rilancio di "Gli Anni" ho compiuto uno dei passi più importanti della mia vita, di cui tra l’altro ho iniziato a pentirmi dopo un anno.
L’anno in cui ho individuato la canzone che ritengo più bella, in cui riconoscevo il mio modo di vedere le cose, che ormai si era formato in una mentalità puramente fatalista.
La stessa canzone "Come deve andare" mi ha rassegnata nei momenti più terribili e deludenti che ho passato negli anni successivi, fino all’altr’anno, quando ho cominciato a pensare che la mia vita fosse un fallimento e quando tutto, la mia famiglia, il mio lavoro, addirittura il mio fisico mi procuravano delusioni una dietro l’altra. Quando ho realizzato che è veramente facile per un estraneo, farti del male, come farti del bene. Quando ho scoperto che le persone cattive esistono davvero, e soprattutto quando sono diventata cosciente di quanti stupidi ci sono bravi a girare il coltello nelle piaghe che già la vita di per sé ti infligge.
E come i tuoi sforzi, la tua dedizione, e voglia di migliorare possano essere schiacciati, disprezzati, volontariamente fraintesi da chi nemmeno ti conosce, ma è tanto presuntuoso da credere di sapere tutto.
Ascoltavo quella canzone quando anch’io ho realizzato, al volo che rischiavo di fare una vita arrancando in salita, mentre ogni volta c’è sempre qualcuno che mi "sorpassa, ride e va".
Alla fine c’era poco da lamentarmi, e soprattutto poca importanza da dare agli stronzi, biechi, idioti, maschilisti che avevano, in ogni ambiente invaso la mia vita. C’era da credere a come la vita ti da sempre una sorpresa e di come tra tante delusioni non ci si renda conto che alla fine si impara a gioire anche per le piccole cazzate.
E poi sono sempre stata convinta che qualunque cosa accada, accade comunque per il nostro bene. Se si mantiene un filo di speranza.
E’ quello che ho detto spesso alla persona che prima di Max Pezzali mi accompagna nella vita da un bel po’ e che ha resistito a queste intemperie con me.
Oggi, in macchina, ascoltando quella canzone ho capito che forse e sottolineo forse, ci siamo. Forse questa volta tocca a me, sorpassare, magari non ridendo, ma incoraggiando chi sta arrancando, perché anch’io ho faticato tanto.
Ho capito che davvero, forse le cose brutte che mi sono capitate erano per il mio bene, perché c’è un tempo per ogni cosa. Il tempo forse finalmente è arrivato e spero che il sig. Pezzali vorrà accompagnarmi con qualche canzone che spero di trovare in questi mesi che mi aspettano, pieni di ansie, paure, incertezze, ma anche gioia e felicità.
Perché forse e lo sottolineo ancora, questa musica a febbraio avrà il compito di accompagnare me e il mio "compagno" in uno dei momenti più intensi e importanti della nostra vita insieme.

martedì 4 settembre 2007

Dove eravamo rimasti…(e dove andremo?)

Si è tanto parlato in questi ultimi mesi dei callcenter. Praticamente quasi sempre male.
Si è fatto di tutto per combattere questa "piaga sociale", e parlando spesso senza cognizione di causa, si è praticato un ridicolo e fuori luogo accanimento istituzionale.
Si è fatto di tutto per affossare le aziende, con estrema attenzione ai grandi gruppi, operanti nel settore.
E ci sono quasi riusciti. Solo che nessuno ne ha parlato. Nella mia città so che un paio di callcenter hanno chiuso a causa dell’accanimento legalizzato loro riservato (con buona pace dei cantieri non in regola, dove la gente rischia la propria incolumità, ma queste sono banalità…), non oso pensare nelle metropoli, dove questi posti sono centinaia e danno da lavorare a migliaia di persone.
D’altra parte nessuno ha mai creduto che i callcenter sono poveri, tantomeno gli schiavi moderni (pagati) che ci lavorano.
Non hanno soldi perché si tratta di aziende sfruttate a loro volta da grandi società di capitale che non trovano comodo investire sui giovani e su nuovi posti di lavoro.
Ma quelle sono aziende intoccabili. Sono quelle che detengono un monopolio, che regolano tutto il nostro patrimonio, la nostra economia. Sono quelli che ci mettono la gente al governo, facendoceli passare come elementi democraticamente eletti. Sono quelle società che comunque vada, debiti o non debiti, vendite o non vendite, crac o non crac non falliscono mai, gli va sempre liscia.
E il tutto si condisce con un po’ di opinione pubblica, fatta di vittimismo testimoniato da parte di pochi "sfruttati" e fatto del dare importanza al cittadino comune chiamando in ballo la loro privacy. Sì, perché i cattivi callcenter disturbano la privacy dei poveri cittadini che non vogliono ricevere telefonate promozionali a casa.
Non sono d’accordo, ma è un’opinione mia, quindi forse ci stava.
Ma che strano questo dilagante utilizzo degli sms per fare le promozioni.
Quasi contemporaneo alla chiusura verso il telemarketing e ai provvedimenti presi a riguardo da parte delle "Autorità". Io che ne ricevo in media un paio al giorno, ho deciso di promuovere una campagna contro questo metodo di diffusione di informazioni commerciali. Anche perché vorrei sapere CHI ha il compito di inviare questi sms (e chi ci guadagna, oltre a quelli che fanno la promozione) e DA DOVE sono stati raccolti i dati e il mio numero di cellulare (non sempre è il mio gestore telefonico ad inviarmi le promozioni, ma anche finanziarie, assicurazioni ecc).
Chissà se il magnifico Garante della nostra Privacy avrà l’altrettanta solerzia che ha avuto contro il telemarketing per far luce su questo nuovo fenomeno commerciale.
E poi vuoi mettere un freddo sms con la voce "suadente" di una cortese operatrice telefonica?

mercoledì 1 agosto 2007

Foglietti di carta copiativa

Ieri ho avuto il "piacere" di partecipare ad un incontro con alcuni individui impiegati in una delle aziende nostre committenti.
Ho definitivamente preso atto del fatto che ormai il sistema più utilizzato dai cosiddetti manager per darsi importanza è un utilizzo privo di proposito della lingua inglese. Sia chiaro, non sono una "purista" della linga italiana. Ma ritengo che esistano dei limiti e per me questi sono stati largamente oltrepassati, rasentando il ridicolo.
Avevo già dovuto sopportare, anni fa, quando questa moda (del tutto milanese) era appena agli inizi, il mio ex-ex-capufficio che mi chiedeva di forwardargli un'e-mail o che, con il suo rude accento friulano, mi comunicava in tono quasi minaccioso che appena riusciva veniva da me a fare un rebùt del server.
Negli anni avevo poi dovuto sopportare qualche ignorante colleghina milanese chiedermi il rìport (anziché report) o la mia zelante ex capufficio propormi un breef o di preparare qualche slide.
Ieri secondo me abbiamo toccato il fondo: abbiamo iniziato parlando di un'attività stand-alone da customizzare su un baseload, fino ad arrivare a capire che in pratica si trattava di un direct mailng, attenzione, no-rolling, con successivo recall per un check del feedback. Ad un certo punto sono certa si sia parlato di una nostra capacity-acquisition possibile a patto di costruirci una proxy seguita da un piano di roll-out.
Al di là della impossibilità di lavorare sereni di fronte a tali incomprensibili e bizzarri consigli, io giuro che ho dovuto trattenermi dal ridere in faccia all'individuo che parlava (tra l'altro non uno scemo qualunque).
E poi ho pensato a come effettivamente questo darci importanza con tali termini sia entrato nella normalità anche qui da noi a Trieste, dove spesso abbiamo cercato di resistere a questa guerra tra poveri (milanesi): ormai il nostro capufficio viene chiamato CCM, Call Center Manager (io lo chiamerei "Esecutore di un mandato", dato che in sintesi c'è ben poco di autonomia manageriale in ciò che fa), quelli come me li chiamano PM, Project Manager (fino a poco fa eravamo semplicemente le disprezzate e rompiballe tuttofare, al fine degli allori che si prendevano altri. Ci hanno cambiato il nome, ma la sostanza rimane la stessa).
Il PM si avvale di una schiera più o meno folta di TL, Team Leader (braccio esecutore di quello che né il PM né il CCM hanno più voglia di fare) e di Tutor, termine non inglese, ma perché non chiamarli "affiancatori"(che è quello che fanno)?
Segnalo che fino a che abbiamo lavorato sotto il nostro ex-ex-capufficio friulano, di manicuccia stretta, il ruolo di PM, TL, e tutor era racchiuso in un unico "bubez": il Supervisore (ruolo rivestito anche dalla sottoscritta).
Per non parlare delle figure dell'Account Manager (del tutto inutile in questa sede) e del Sales Manager (inesistente in questa sede), inventate solo da chi si vergognava di identificarsi come un "addetto alle vendite".
Poi vedo la tenerezza che mi fanno le mie fiere colleghine milanesi a mettersi il loro ruolo segnato sotto il nome nella firma automatica dell'outlook (io personalmente mi sono sempre rifiutata di farlo) e sorrido al ricordo del nostro (dimesso) Operation Manager che accusandomi di essere un'accentratrice mi esortava a "farmi l'acting".
Come spiegargli che letteralmente avevo già provveduto da tempo?
E penso al mio papà, che nella sua spartana semplicità militarista mi ha consigliato di non usare e-mail, ma di scrivere su foglietti con carta copiativa gli ordini da impartire ai miei sottoposti, in modo da averne una copia per un controllo a fine giornata, aggiungendo in tono canzonatorio ed accento napoletano "là siete tutti manager, ma chi comanda?".

mercoledì 25 luglio 2007

Due storie - La prima

Voglio raccontare due storie. Le storie di due mie amiche.
Ultimamente mi sento poco con loro, perchè per un motivo o per l'altro le nostre vite si sono divise, seguendo percorsi del tutto opposti.
La prima: una delle più vecchie e care amiche che ho. Si è trasferita dal sud per raggiungere il fidanzato che lavorava qui a Trieste. Io l'ho conosciuta all'Università, eravamo compagne di corso. Abbiamo anche fatto la tesi assieme e ci siamo laureate nello stesso anno. Ha circa 4 anni più di me e quando l'ho conosciuta lei aveva già lavorato, per mantenersi gli studi, come cameriera in un pub e come ragioniera.
Dopo la laurea anche lei si è iscritta come me ad un master.
Forte anche di questa qualifica, dopo due anni di ricerca inutile (pena forse il suo stato civile?), ha finalmente trovato un posto: come impiegata.
In pratica aveva fatto titolo il diploma e la precedente esperienza da ragioniera.
Le fanno un contratto di formazione lavoro, per due anni.
Nel frattempo si era sposata, e nell'illusione di tornare un giorno nella sua città di origine ha continuato a vivere in affitto, in un appartamento ammobiliato.
Dopo un anno e mezzo di lavoro, quando il contratto stava per scadere e dopo che l'avevano promossa e soprattutto dopo 4 anni di matrimonio ha deciso di avere un bimbo.
Regolare: è andata in maternità.
Il bimbo è nato, ha concluso la sua maternità e il giorno in cui è rientrata al lavoro le hanno comunicato di cominciare a cercare altrove perchè non le avrebbero rinnovato il contratto di formazione. L'avevano infatti nel frattempo già sostituita con una neo-laureata in legge.
Dopo un periodo di stasi, dovuto alla delusione, forse allo sconforto nel dovere ricominciare tutto daccapo, e occupata comunque a fare la mamma (e mano male che il marito è dipendente statale), la mia amica trova un altro lavoro: un part-time come socia di cooperativa (quindi precaria). Per 5 euro all'ora prepara i documenti per le gare d'appalto, attività su cui lei è specializzata.
Nel frattempo cade definitivamente l'illusione di un trasferimento e si delinea sempre più l'opportunità di costruire una vita stabile a Trieste.
Compra casa e fa un mutuo. Riceve l'aiuto dei contributi regionali.
Dopo tre anni di lavoro in cooperativa, decide di avere un altro bimbo.
La maternità per gli atipici è diversa. Si tratta di solo 5 mesi, all'80% dello stipendio. Inoltre il contratto è precario. Si può chiudere da un momento all'altro.
Il datore di lavoro si arrabbia anche questa volta.
Infatti il bimbo è nato, 5 mesi fa, e la mia amica ha ricevuto l'ultimatum di rientrare a lavoro entro settembre essendo in agosto in "ferie".
Pena la conclusione del contratto.
E quindi mi chiedo: ma noi che dobbiamo fare? dicono che l'Italia cambia, ma a me sembra che nulla si sia spostato di una virgola. Parlano di svolte, ma a me sembra sempre che navighiamo nella stessa merda. I governi mutano, come i ministri, ma nessuno sembra occuparsi di noi.
O meglio di chi non desidera altro che avere una famiglia, o anche non averla, ma almeno una certezza: che se la società deve essere stabile, allora lo sia anche il lavoro; se il lavoro deve essere precario, allora la società si adatti. Insomma qualcuno ci tenga in considerazione. Invece no: si pensa alle pensioni, alle intercettazioni, al governo, se cade o non cade, persino alle coppie di fatto. E nel frattempo lavorare, soprattutto per una DONNA ed essere indipendente, diventa sempre più complicato.

giovedì 19 luglio 2007

Etologia ed ecologia di uno Staff

I comportamenti tipici di uno Staff rispecchiano esattamente le caratteristiche comportamentali di un branco.
In genere un branco di questo genere è composto da più individui, in questo caso alquanto eterogenei, dotati di diverse specificità caratteriali e comportamentali.
Nella situazione oggetto del presente studio abbiamo subito individuato un capo - branco: il cosiddetto Misciamerda.
Il Misciamerda è un maschio, di età adulta, in fase riproduttiva. Il Misciamerda si è ben adattato agli ambienti costieri, pur provenendo dalla montagna. Caratterialmente ha la tendenza a non prendere mai una posizione specifica ed usa spesso allocuzioni quali "non vedo perché no", "sicuramente ma altrimenti", "onestamente", "sinceramente". Risulta difficile agli altri componenti del branco riuscire a comprendere a pieno quello che Misciamerda vuole dire, trattandosi quasi sempre di un tutto - niente.
Il Misciamerda però non è ancora un maschio molto affermato, dimostrando in accertati casi un certo timore verso gli individui So-tuto-mi e Mi-inveze-te-bastono. Queste ultime, femmine adulte, si sono stanziate in un territorio limitrofo che non condividono in armonia, pur essendo state divise precauzionalmente da un muro di altezza tale da non permettere alle due di beccarsi troppo.
Nell’ambiente oggetto di studio si stanno progressivamente affermando: No-son-mi-che-fazo e Femo-domani che spesso troviamo insediati nella loro comune tana.
Non ultima abbiamo Toco-de-merda, femmina in età riproduttiva avanzata, che non a caso si è accoppiata con Misciamerda. Avranno qualcosa in comune.
Infine abbiamo un elemento di disturbo, in realtà non facente parte davvero del branco, essendo lei stessa un anti-branco, Miss Prezzemolina. Si tratterebbe di una femmina di natura diffidente e determinata a essere sempre presente ed in prima linea, concentrata nel continuo tentativo di svilimento e umiliazione delle altre femmine del branco, che vorrebbe scalzare per affermare la sua presenza sul territorio, abbindolando i maschi.
In conclusione si tratta effettivamente di un branco estremamente eterogeneo per linee caratteriali e comportamentali. Spesso queste sue caratteristiche, soprattutto di So-tuto-mi, Mi-inveze-te-bastono e Toco-de-merda sono state oggetto di disapprovazione da parte di alcuni esperti venuti a studiare il territorio. Ciò che è sfuggito a questi esperti è la capacità di coalizione di questi elementi, la bravura nell’unirsi nei momenti di difficoltà, a cui sono molto abituate, e nell’affrontare i momenti di crisi.
Forse per la natura fredda, rude, schietta e poco agghindata da requisiti futili e superflui, tipica del territorio che abitano, si tratta di un gruppo a cui ben poco si è riconosciuto ed accreditato.
Sicuramente, come in ogni ricerca scientifica, i fatti daranno torto alle parole.

Carissimi colleghi tutti, non me ne vogliate, è per scherzare un pò. Spero di non aver offeso nessuno e sappiate che anche se ogni tanto sono un pò acidina e nonostante sia un certo pezzo di m... tutto sommato vi voglio bene*!
*(logicamente tranne che a Miss Prezzemolina)

giovedì 12 luglio 2007

Ancora un pò di pazienza ...

... e poi la strada sarà in discesa.

mercoledì 11 luglio 2007

Le raganelle verdi e i rospi neri

Premetto: di anfibi ne so.

C'era una volta uno stagno.
In questo stagno convivevano tante specie di anfibi, cercando in un modo o nell'altro di rispettare le loro nicchie ecologiche.
Questa popolazione poteva principalmente distinguersi in piccole, fastidiose, appiccicose, confusionarie e ciacolone raganelle verdi sparse ovunque e rudi, riservati e impacciati rosponi neri relegati nell'angolo più ameno del laghetto.


Un giorno, per essere più forti contro il loro predatori e affermarsi nel loro territorio, tutti questi anfibi assieme decisero un giorno di aggregarsi in un'unica popolazione, fatta di tanti branchi.
A capo del branco c'era Ranocchione Delegato, che nominò ben presto tutto il suo Frog Management.
Inoltre l'organizzazione prevedeva anche che responsabilità di ogni branco cadesse addosso ad un giovane Ranocchio/a-Manager, brevemente chiamato RM da tutti.
Ranocchione Delegato, mise poi tutti gli anfibi a cantare nello stagno, e RM a controllare il loro operato.


Anche i rospi dovettero adattarsi all'organigramma e il loro RM mise anche loro a cantare. Solo che questi non riuscivano ad avere la bella voce delle raganelle: infatti non solo erano buffi ed impacciati, ma il loro "CRA" era rude, anche se intenso e spiacevole, anche se si sentiva da lontano. Inoltre i rospi erano riservati, diffidenti e poco inclini alle apparenze, a differenza delle bellissime e fluorescenti colleghe raganelle. Erano ai margini, nell'angolo dello stagno più remoto, e poco le raganelle manager si preoccupavano di loro. Erano abituati a cavarsela da soli e la loro costituzione fisica e la loro tempra erano forti e vivi.
Anche se non facevano i salti lunghi delle raganelle, piano piano raggiungevano qualunque meta. Solo tra loro c’era una raganella, non si sa come si fosse infiltrata ed effettivamente rimase sempre un mistero e tutti i rospi si chiedevano che ci facesse tra loro…


Un dì funesto arrivò la siccità.
Lo stagno regredì ed iniziò a prosciugarsi in maniera tale da diventare poco più di una pozza di fango.
Presto Ranocchione Delegato abbandonò l'habitat, per rifugiarsi sul lago di Balaton in Ungheria, anche se aveva sempre preferito la Romania.
Anche il Frog Management rimase decimato. Una Frog Manager è stata vista prendere sole in stuoia sul delta del Pò, ma non c’è nulla di provato.


E le raganelle, poverine, tanto carine restavano ancora attaccate agli alberi, rifiutandosi di entrare nel fango, continuando a cantare con quel po’ di vocina che gli rimaneva, affamate e stanche.
Desiderose di una bella nuotata nell'acqua fresca.
Dall'alto dei loro alberi, estenuate, guardavano i rosponi, che invece si crogiolavano nel fango, certo sofferenti per la siccità, ma tranquilli.
"ma come fate a stare in quella melma, che schifo! che schifo!" urlarono le raganelle ai rospi
"Noi ci siamo abituati ed ora non ci lamentiamo. E' il ciclo delle stagioni, è normale, è la natura. Staremo qui, continueremo a cantare e a procurarci il cibo come abbiamo sempre fatto, anche se con la lentezza e la goffagine che voi ci avete sempre disprezzato."

Continua?

martedì 10 luglio 2007

Il castello di sabbia

Intanto voglio segnalare questo post letto sul blog di Anna.
Mi ha dato spunto per una riflessione.
E poi... ho cercato di documentarmi a riguardo ed ora che ne capisco qualcosa, aderisco anch'io all'iniziativa "MANDIAMO UNA E-MAIL A DAMIANO: NON PENSATE ALLO SCALONE, PENSATE AI GIOVANI" di Angela Padrone. Meglio tardi che mai...
_______________________________
In questi giorni ho cercato di raccontare quello che sta accadendo nella mia Azienda sotto forma di favole.
Un modo per sdrammatizzare? sì, ma anche un modo per parlarne, senza peso, senza retorica, senza amarezza.
E poi che dire, una favola è una favola. Può finire solo che bene, e io voglio crederci, fino in fondo.
Anche al termine di questa vivranno TUTTI felici e contenti e magari finalmente la principessa verrà portata via dal suo cavaliere. Magari poi finalmente anche loro vivranno felici e contenti e soprattutto sereni, tranquilli di poter pagare il loro affitto, di poter pensare almeno al futuro.
Poco dico di me su questo blog. Ho sempre cercato di far trapelare una certa leggerezza, una superficialità che in realtà poco mi caratterizza. La propensione alla precarietà è invece una scelta di vita: dopo qualche fallimento e più di una brutta delusione ho deciso che forse il modo migliore per vivere è farlo di giorno in giorno. Se non programmi nulla non resti troppo deluso quando i tuoi progetti crollano, quando non ti capita ciò che è normale per gli altri.
Il bello è che, come in tutte le conclusioni importanti tratte nella mia vita me ne sono resa conto tutto in un colpo: a casa, l'altra casa, quella comprata col mutuo, guardandomi attorno ho visto come se tutto si stesse sgretolando e soprattutto tutto perdeva la sua importanza.
"Un castello di sabbia" ho pensato. E ho dato una svolta alla mia vita.
E l'ho fatto crollare, il castello. E poi ne ho costruito un altro, fatto di sostanza, di sentimenti, con anima e cuore. E mettendoci anche più cervello. E così ho risalito la china, mentre tutti mi guardavano con compassione. E così mi sono conquistata l'etichetta della "strana" anche da parte di chi mi era stato sempre vicino, anche da parte di quelle cugine milanesi perfettissime, casalinghissime, sposatissime e mammissime. Nel giro di sei mesi sono sparite nel nulla: forse è questa la vera fonte della mia aggressività verso Milano e tutto quello che le appartiene.
Oggi volevo scrivere questo. Perchè all'improvviso stamattina sono entrata in ascensore dell'ufficio e ho odiato quel posto. Poi mi sono accorta del disordine della mia scrivania, un disordine sprezzante, disgustato da questo posto. Ho visto di nuovo i castelli di sabbia, ma qui dentro, in ufficio. Non era mai capitato, davvero.
Ho pensato che basta a lottare, come va va, oppure si va via. Ma anche questo alla fine dipende, dipende da quello che mi riserva il futuro.
Ho scritto così, oggi perchè per me domani è un giorno davvero importante.
E questa volta non c'entra niente il lavoro. Volevo lasciare una traccia.
Certo è che comunque vada questa volta ho in mente un sogno da realizzare, me ne frego di tutto e, come ha detto qualcuno "un sogno è già in parte un progetto".
Quindi che ci vuole. Sono pur sempre una Project Manager, no?

lunedì 9 luglio 2007

La favola di Dory - IV La fata turchese

C'era una volta un castello.
In questo castello, del regno di Iwik, viveva un re con i suoi sudditi.
Questo re era molto scontento: non era riuscito ad accumulare abbastanza oro dal lavoro dei suoi sudditi.
In più i debiti gravavano su di lui, infatti non pagava le bollette del castello.
Allora decise di convocare la tavola rotonda con tutti i suoi giullari di corte per decidere il da farsi. Ben presto, dopo un'estenuante consiglio, giunsero alla conclusione che la miglior soluzione era buttare tutto in pasto ai coccodrilli del fossato, in quanto i contadini-vassalli non riuscivano a produrre abbastanza raccolto per soddisfare le loro esigenze.

Al culmine della disperazione, cominciarono ad invocare un prodigio o una magia e, come per incanto, comparve loro la bellissima Fata Turchese.
Il Re fu contento, perchè nel frattempo aveva già adocchiato un altro regno in cui portare il suo oro, e pertanto abdicò.
Così a governare il castello fu la Fata Turchese.
Fata Turchese cominciò subito col suo piano d'azione: tanto che alcuni sudditi furono contenti, altri no. Infatti tentò subito di dare un taglio alle spese.
Nel frattempo, i sudditi di un piccolo feudo lì vicino, che sempre erano stati sotto il regno di Iwik, fiduciosi della nuova gestione di Fata Turchese, inviarono il loro messo, Mago Carlino a portare doni ed offerte alla bella fatina. Ma Mago Carlino non trovò l'accoglienza prevista e dopo un lungo scambio di magie e sortilegi, dovette decretare la sua sconfitta.
Così anche il feudo rimase sotto la guida della simpatica Fata Turchese.
La situazione, però, nonostante la gestione dai costi ristretti non migliorava, e né la mancanza di carta per la fotocopiatrice, nè la privazione del rancio gratuito per i sudditi, portarono grande giovamento al regno.
In più nel piccolo Feudo tutti i baronetti, privati del loro potere, cominciarono a scappare in questo o quell'altro regno. Qualcuno di loro partì per campagne lontane alla ricerca di un esercito mercenario. I feudatari rimasero così privi di riferimenti, brancolando nell'oscurità più assoluta.
C'era poi tra di loro una grossa parte di contadini a cui erano state promesse, tramite accordi sindacali, delle terre, in modo da poter stabilizzare la loro situazione.
Questi contadini, ubriachi da mattina a sera, nel pieno dei festeggiamenti, non avevano pensato di mettere il fieno in cascina per i momenti duri, "tanto ormai la terra ci spetta di diritto!", dicevano "chi può toglierci quello che abbiamo ottenuto?".
Ed invece un dì finesto e trste, arrivò l'Orco Cattivo.
L'Orco Cattivo vantava diritti sul regno di Iwik, ancor prima che la sprovveduta Fata Turchese ne prendesse il comando. Il precedente re, infatti aveva chiesto innumerevoli prestiti all'Orco.
Questi, vedendo che il debito non veniva saldato, iniziò a vendicarsi piano piano, dapprima spegnendo tutte le candele del castello. Poi mandò i suoi sicari a bruciare tutti i raccolti che erano stati ormai anche venduti. Per cui ci furono anche famiglie che non c'entravano niente col castello, col feudo e col regno e i suoi debiti che rimasero epr giorni e giorni senza cibo!
Ma all'Orco importava poco di questo, infatti ben presto organizzò una campagna di teleselling per potersi accaparrare tutti i clienti che fino ad allora avevano acquistato i raccolti del regno di Iwik.
Allora i sudditi iniziarono a farsi delle domande: "Ma è possibile che Fata Turchese non avesse parlato prima anche con Orco Cattivo?"
"Possibile che non sapesse dei debiti, prima di prendere nelle sue mani il regno?"

Peccato che nessuno diede loro risposte. Peccato che ogni tentativo di creare clamore fosse finito nel vuoto.

Peccato che non ci fossero a quei tempi, nel Medio Evo, giornali, televisioni o radio che potessero diffondere la notizia.
Se una cosa simile capitasse adesso, invece, lo saprebbero tutti.
E i 2000 contadini potrebbero almeno contare sull'appoggio (morale e politico) dei media.

La favola di Dory III - le Segherie

C'era una volta, in un'amena città del nord-est una ... segheria.
Questa segheria in realtà faceva parte di un gruppo di segherie, con tanti operatori segaioli e tanti responsabili seghettari che vi lavoravano sodo e alacremente.
Un giorno si scopre che la Segheria Madre del gruppo ha contratto debiti con i venditori di carburante per seghe per qualche milione di fiornini d'argento e i venditori non accettano più che il debito vada ad accumularsi invece di essere saldato.
I venditori combustibile pertanto decidono di non fornire più il prezioso prodotto, fintantochè la Segheria Madre non avrà saldato il debito.
Pertanto le segherie non riescono a segare.
I responsabili seghettari cadono così in disperazione, in quanto c'è il rischio concreto che le segherie debbano cessare la loro attività.
Mentre nel frattempo, i consapevoli stolti operatori segaioli rimangono convinti che la mancata erogazione del carburante sia al solo fine da parte della Segheria Madre di non permettere il funzionamento della loro macchinetta erogatrice di caffè.
Pertanto decidono di organizzare una serie di scioperi per poter riavere dalla Segheria Madre la macchinetta del caffè.
In tale contesto interviene finalmente Mastro Geppetto: "Oh stolti segaioli! Già che è così vi chiudiamo la segheria!"
Gli stolti ex-operatori allora, ancora non convinti e disoccupati cercarono altre segherie e falegnamerie a cui offrire la loro prestazione di collaborazione, ma nessuno di loro trovò più un posto che potesse accogliere segaioli sprovveduti ed ottusi come loro.

Morale della favola: schiavi moderni sempre ed ancora infinitamente egocentrici

venerdì 6 luglio 2007

La favola di Dory - II

C'era una volta un falegname, di nome Eviol.
Questo simpatico ometto era bravissimo nel suo mestiere, fatto sta che in breve tempo riuscì ad ingrandire la sua falegnameria in maniera tale da poter dare lavoro a tanti falegnami.
Un bel dì Eviol decide di investire tutte le sue monete d'oro in tante falegnamerie sparse per altrettanti regni. In tal modo riesce a dare lavoro a quasi 2000 falegnami.
Molti di questi erano dei gran lavoratori altri dei fannulloni che ben presto sprecarono i soldi guadagnati da Eviol per acquistare inutili calessi aziendali, poltrone di pelle, scrivanie in avorio e cellulari d'oro, degni di un re.
In più Eviol vendeva i suoi prodotti, guadagnando, ma non ripagava i taglialegna che andavano in bosco a procurargli il legno.
Raggiunte tante monete d'oro di debito, Eviol decise di non voler fare la figuraccia di chiudere la baracca. Infatti era diventato un uomo ben visto e ammirato in tutti i regni del mondo.
Decise allora di provare a vendere le sue falegnamerie (con tutti i debiti) ad un povero ed anziano falegname del suo paese, Geppetto.
All'inizio Geppetto fu un padrone molto severo: cacciò tutti gli spreconi e inibì ogni tentativo di spepero, chiuse anche qualche falegnameria improduttiva. Tutti dovevano lavorare giorno e notte per forgiare i più bei mobili e le più belle opere. E non solo: stabilì un modo per restituire i debiti un pò alla volta.
Ma un bel dì i taglialegna però si stufarono e decisero di chiedere tutte le monete e subito, cambiando le carte in tavola: inizialmente minacciarono Geppetto, che da vecchio testardo quale era, non si fece piegare al ricatto.
Così i taglialegna si misero tutti d'accordo: irruppero nelle case dei clienti di Geppetto e bruciarono tutti i mobili e le opere forgiate dalle falegnamerie insolventi!
E così ci andarono di mezzo le povere persone che non solo avevano perso i loro mobili, ma si sentivano fare offerte più costose da parte dei taglialegna per ricostruire i loro oggetti bruciati!
Geppetto non sapeva più che fare, ormai la falegnameria non aveva più credibilità ed in ballo c'erano tanti falegnami che rischiavano di restare senza lavoro.
Quelli che erano rimasti: quelli che avevano sempre lavorato.

Continua...?


Piano: questa è la versione di Geppetto!

mercoledì 4 luglio 2007

Stabilmente precario

Quanto è precario lavorare in un call center.

Ci si scherza, si fa battute, si scrive in un blog e poi ti trovi a scontrarti contro la realtà dello stato dei fatti: qui siamo precari tutti, dipendendi e non, dipendenti più dei collaboratori.
E non hai più voglia di scherzare.

Sono sette anni che lavoro qui dentro.
Mi è sempre mancato il coraggio di rischiare, per "colpa" di quel contratto d'assunzione a tempo indeterminato che mi toglieva ogni disposizione a cercarmi un lavoro diverso.
D'altra parte perchè?

Quante volte mi hanno detto che un callcenter è solo un posto malato: colpa di un Paese che non è riuscito a fare bene le cose per la propria economia, colpa di un Paese che ricorda solo il diritto dell'Imprenditore (del Prestanome, nel caso di certe società) e non quello per cui DEVE adoperarsi: il diritto al lavoro per I GIOVANI.

E invece no, pensiamo alle pensioni...
E' da quando sono bambina che il problema pensioni è al centro di ogni dibattito. A pensarci mi fa ridere: mio padre parlava di pensione già a 30 anni. Amici di mio padre sono andati in pensione a 45 anni.
IO a 33 anni non so se mai avrò una pensione e non riesco nemmeno ad immaginarmela: io non riesco ad immaginarmi nemmeno un pò della stabilità che hanno avuto a suo tempo i miei genitori!

E ti credo, senti quello che dicono in giro gli amici: aziende che chiudono, neomamme licenziate, finti soci di finte cooperative...
E senti come stiamo qui noi, dipendenti di call center: passano gli anni e ti adatti se non ti pagano gli straordinari, sopporti la privazione (senza motivazione) dei buoni pasto, rimani seduto alla stessa scrivania mentre la tua azienda cambia 5 ragioni sociali, e intanto ti compri da solo la cancelleria, tremi ad ogni ritardo dello stipendio, ti arrabbi quando non ti arriva la quattordicesima, speri che la prossima paga ti venga corrisposta.
E poi magari arriva il giorno in cui ti dicono "chissà se lunedì siamo ancora qui..."

Meno male che vivo in affitto, meno male che sono disposta anche ad andare in culo al mondo per lavorare, meno male che non ho legami familiari, meno male che non ho responsabilità, meno male che non ho figli, meno male che ho scelto di fare della mia vita l'emblema della precarità.

Ma che palle.

p.s. se va come temo (ma spero di no!), dalla prossima faccio nomi e cognomi e ogni riferimento NON sarà casuale.

mercoledì 27 giugno 2007

Lo schiavo Inbound

Premetto, quando parlo di situazione lavorativa, parlo della situazione all'interno di QUESTO call center.
Perchè qui è davvero vergognosa.

Credo che la cultura del lavoro sia ormai un valore andato perso, ALMENO sicuramente per quanto riguarda un persona che lavora qui da noi, QUALE OPERATORE INBOUND.

Tutto questo lo dobbiamo a chi, commiserando queste persone ha messo nelle loro mani un'arma:
l'arma del lavoratore autonomo.
E' vero, a tutti gli effetti lo sono, il problema è che qui da noi, schiacciati da tale politica, seguiamo alla lettera i dettami del contratto a progetto, come in una sorta di ricatto virtuale. Pertanto trattiamo letteralmente tali persone come lavoratori autonomi, lasciandoli al loro pascolo e alla loro inconcludenza e sfaccendataggine. In questo call center non esiste più né la subordinazione, nè la parasubordinazione, esiste solo l'anarchia più totale.
Pertanto noi dipendenti, subordinati ed umiliati:
NON VEDIAMO L'ORA CHE QUESTI SFACCENDATI VENGANO ASSUNTI!

Infatti, forte del proprio contratto a progetto, gran parte di questi "lavoratori" rende responsabili e supervisori (dipendenti) inermi spettatori di ogni sorta di arroganza e irrispettosità. Non verso le nostre persone, né tantomeno verso l'Azienda, ma verso il concetto di LAVORO in sé.
Quello che in questi anni NOI abbiamo cercato di costruire. Quello che ci siamo conquistati.

Sia chiaro non si tratta di una forma di protesta contro lo stato contrattuale in cui si trovano, dato che questi soggetti, alla prospettiva di un'assunzione hanno addirittura avanzato titubanze, dicendo tra i denti che preferiscono rimanere come stanno.

E ci credo, guardiamo ai numeri (che devo arrotondare...):
- ogni operatore guadagna di media tra i 6.5 e gli 8.5 euro lordi all'ora (a seconda dei carichi di lavoro).
- ogni lavoratore su un'ora passa di media il 42% del tempo al telefono. Vuol dire che su un turno di 4 ore lavora meno di 2 ore!
- ogni operatore ha la più totale libertà di arrivare all'ora che preferisce (e a non venire proprio al lavoro, anche senza avvisare, nessuno gli può dire nulla), di andarsene quando vuole, di fare PAUSA quando gli pare (infatti si approfitta sempre degli orari con maggior carico di chiamate!).
- ogni lavoratore passa i momenti in cui non è al telefono come meglio preferisce, le attività principali sono: i giochi on line, la posta personale, i forum, le chat, le immagini delle donnine nude; ma non si disdegnano le attività di gruppo...
- l'operatore non è soggetto ad alcun controllo sulla qualità del proprio lavoro: in pratica paradossalmente potrebbe dire le cazzate che vuole al telefono, non possiamo riprenderlo (tantomeno mandarlo via).
- ogni lavoratore, di media, ad ogni telefonata si lamenta per la mole di lavoro a cui è soggetto, nonostante riceva di media tra le 6 e le 7 telefonate all'ora!
- lo schiavo inbound al momento in questo call center non ha obblighi di alcun genere, ma solo diritti.

E i dipendenti stanno a guardare. A guardare il loro lavoro e tutto quello in cui hanno creduto svilito e a SPERARE CHE FINALMENTE VENGANO ASSUNTI, illudendosi che per crescere e maturare questo genere di persone ha bisogno della subordinazione.

Tanta gente che non avrebbe trovato un lavoro manco a pagarlo, perchè non avrebbe passato nemmeno il più breve periodo di prova, avrà finalmente un contratto a tempo indeterminato. Mentre magari c'è tanta gente nelle università, negli enti di ricerca, nelle cooperative, nelle fabbriche che merita di più, sputando sangue.
E invece no, i call center erano quello su cui intervenire, l'emblema delle precarità, la vergogna del nostro Paese... ed eccoli qui, i vostri stabilizzati, povera Italia!

Chiaramente il post non si riferisce a TUTTI gli operatori di qs callcenter, ma alla maggior parte. Le poche perle che fanno sul serio ci sono. Rare, ma preziose.

venerdì 22 giugno 2007

Precari scontenti, presto disoccupati

Io sono stufa di tutta questa demagogia sui call center. Non ne posso più!

Volete che chiudiamo? Non ci sono i soldi per assumere tutti!!
A che pro?

Ho letto oggi il post di Grillo riguardo i callcenter e sono avvilita dal fatto che il mio lavoro, come quello di tanti altri, venga continuamente deprezzato da testimonianze patetiche, autocommiseranti, non documentate e poco costruttive da parte di questi sedicenti "schiavi moderni" dei call center.

Io sono dipendente qui dentro da 4 anni.
Ma che ne sa Grillo di quello che ho dovuto e devo quotidianamente passare?
Che ne sanno gli "schiavi moderni"?

Mentre si pubblicano letterine anonime su Team Leader e Supervisori schiavisti nevrotici squilibrati!
Noi che siamo dei LAVORATORI con la nostra voglia di fare ci siamo creati un percorso addirittura in un'azienda di serie B come un call center! cia siamo fatti assumere!

Quando io lavoravo in ritenuta d'acconto, Grillo dov'era?
E quando abbiamo perso la nostra principale commessa inbound, mandando a casa 20 persone, lui che faceva?

E quando successivamente, di giorno in giorno, alla faccia del mio contratto d'assunzione, il nostro responsabile di filiale ci diceva che non ci si stava con i conti e che rischiavamo la chiusura?
E che ne sa di quando abbiamo perso un'altra delle nostre principali commesse, lasciando a casa 40 "schiavi" con le lacrime negli occhi, perchè nonostante tutto, quello era l'unico lavoro che avevano?

Chi sa come sta un dipendente nel vedere il suo callcenter deserto?

Che ne sa di noi, abbandonati, senza un ruolo preciso, ma pieni di carichi e responsabilità ad arrangiarci in ogni modo per tenerci stretto il nostro lavoro!
Mentre ogni giorno ci passano davanti menefreghisti e supponenti persone convinte che tutto gli sia dovuto e che ci umiliano con i loro modi tipici di chi ha avuto sempre la pappa pronta, privi del senso della gavetta e di una CULTURA DEL LAVORO!

Che ne sa invece delle realtà che vediamo quotidianamente, delle persone che almeno qui dentro hanno un loro ruolo, un loro momento, un contatto umano e che da un momento all'altro siamo costretti COL CUORE IN GOLA a mandare a casa PERCHE' ABBIAMO PERSO LA COMMESSA.
I cattivi siamo noi?
O sono le grandi società che permettono (per non assumere al loro interno) questo stato di cose?

E sa Grillo che in questo come in altri callcenter abbiamo subito ispezioni a tappeto (2 in un mese!) venendo trattati alla stregua di delinquenti, per il solo essere "responsabili", quando siamo dei normalissimi dipendenti (e forse di irregolarità da denunciare ne avremmo più noi!).

Sa Grillo che la stabilizzazione di centinaia di operatori nel nostro gruppo ha portato al ritiro dei bouni pasto di tutti quelli già assunti? e nessuno ha fiatato: perchè non ci sono soldi.
Ma questo lo sappiamo solo noi! E non ci piangiamo addosso!!

Però restiamo qui, a prendere merda dagli schiavi di Grillo.

La merda di inconsapevoli strumenti di chi vuole istituire l'oligopolio nel settore che è per antonomasia quello più libero e flessibile che potesse esserci!
Aziende su aziende perderanno l'unica peculiarità che hanno. Precari su precari resteranno disoccupati. Noi dipendenti che qui dentro ci sputiamo il sangue perderemo il nostro posto stabile.

Sono troppo incazzata.

martedì 19 giugno 2007

Sindacato Zelante - Sindacato Silente

-11
giorni al termine per le prime stabilizzazioni nel nostro Call Center.

In 11 giorni, 9 lavorativi, si dovrebbe:
  • organizzare l'incontro dell'azienda con i sindacati a livello TERRITORIALE (incredibile, ancora non s'era fatto!).
  • firmare verbali di conciliazione per tutti gli operatori del Call Center (N.B. ogni operatore ha una situazione diversa dall'altro, pertanto i verbali sono tutti differenti - o almeno così dovrebbe essere), in presenza di un rappresentante aziendale e dei conciliatori (i sindacati - che già a maggio si sono fatti dare le deleghe dagli operatori...).
  • decidere quali e quanti saranno i primi ad essere assunti - a tempo indeterminato (una scelta non da poco).
L'ultima assemblea sindacale si è tenuta in maggio. Da allora ci si doveva sempre aggiornare, ma nessuno si è aggiornato.
Ci AGGIORNIAMO al 1° luglio.

giovedì 14 giugno 2007

LA SCOMPARSA DEI FATTI vs SCHIAVI MODERNI

Perchè scrivere un libro fatto di testimonianze anonime, prive di fondamento e senza riportare alcun dato, numero, riscontro a documento? perchè non riportare anche quanche testimonianza contrastante? e perchè non fare verifiche ed accertamenti informandosi sulle aziende e sui fatti oggetto delle testimonianze riportate nel libro?

Da profana dico: non si scrive un libro così.

Troppo comodo fare retorica spicciola, invece di mettersi di traverso, rischiando di essere scomodi.

Perchè invece di commiserare comodamente, senza documentare, non si è pensato a come evitare che tutti questi precari, non finissero col diventare strumento di chi semplicemente vuole istituire l'oligopolio (se non il monopolio) anche nel settore dei call center?

Eppure chi se ne è reso conto c'è, e cerca di alzare la voce, una voce spezzata dalla mancanza di divulgazione, addirittura su uno strumento di facile propaganda come internet.

Perchè non chiedersi come mai, con tante realtà di sfruttamento, dove gli schiavi ci sono davvero, solo i call center sono stati presi ad emblema della precarietà da sconfiggere?


Come si può pubblicare un libro di opinioni, privo di fatti?
La testimonianza serve quando è costruttiva.

Chi ha la possibilità, la potenza divulgativa e il consenso popolare dovrebbe occuparsi di questo.


Troppo impopolare spiegare che c'è il sospetto che certi provvedimenti siano stati presi non per il bene dei lavoratori, ma per il bene di pochi imprenditori?

Brutto dire che le stabilizzazioni si sono fatte: ma male.


Vorrei poter finalmente leggere un libro, un ariticolo che ce lo racconta, lo spiega e lo dimostra documentandolo.

E poi finalmente avremo gli strumenti per lamentarci e per poi reclamare diritti che ci sono stati tolti, per denunciare e testimoniare.

Finalmente smetteranno i sessantenni di dirci con compassione che gli dispiace tanto, ma stiamo "pagando i debiti delle generazioni precedenti".

Marco, aiutaci tu.

mercoledì 13 giugno 2007

La testimonianza

Anche Dory ha ricevuto come in tutti i blog che si rispettino, una testimonianza da una persona che chiameremo "schiavo post-moderno", per poter rispettare il suo anonimato.

Cara Dory,
chi ti scrive è un giovane trentenne in carriera presso un call center. Voglio riportarti la mia esperienza: nel mio ufficio abbiamo una forza lavoro costituita da un 85% di donne e io faccio parte della netta minoranza. Tutto il mio staff è costituito da femmine, di quelle peggiori: inviperite, turbolente, polemiche, nevrotiche, lunatiche e stressanti.
Già dalla mattina non so come si inizierà: devo innanzitutto sperare che non abbiano avuto seccature a casa, che non sia successo nulla nel percorso fin qui e soprattutto che il tasso di umidità sia tale da consentire ai loro capelli di starsene ben disciplinati.
Basta che solo per una di loro non vada come deve andare e per me si prospetta una giornata d'inferno: per tutto la colpa è mia.
Non solo, oltre a subire le loro ire vengo anche sfruttato fisicamente per lavori di bassa manovalanza e demansionanti: se si fulmina la lampadina del cesso (indifferente se maschio o femmina) chi va a sostituirla? e quando ci sono da spostare dei pc? chi va ad infilarsi in giacca e cravatta sotto alle postazioni per scollegare i cavi? e chi sposta i monitor? e poi chi le sente a casa perchè ho sporcato il vestito?
E non ti dico quando gli prende a tutte quella di spostare i mobili, le scrivanie, gli armadietti... mentre loro mi "aiutano" trasportando i loro vasi di piante e le fotografie.
Non solo: "vai giù? mi porti un caffè? vai alla macchinetta? mi porti qualcosa?"
Ma dico, che cosa sono io? dovrei essere quello che le deve "coordinare" e invece sono il loro schiavo! altro che stress da telefoni! io ci tornerei al telefono! ... e fossero almeno gnocche!
Ti prego Dory dammi un consiglio.

Caro schiavo post-moderno, la tua testimonianza non mi è nuova. So di situazioni del genere che si verificano anche in altri uffici. E' vergognoso, lo so. Lo sfruttamento istituzionalizzato del lavoratore (capufficio) maschio è una moderna peste bubbonica che vi ha trasformati in schiavi post-moderni. Dal cambiare le lampadine del cesso a spostare telefoni. Meno rispettati degli schiavi che andavano a raccogliere cotone nei campi!
Il femminismo lavorativo sta ormai diventando una legge usata per lo sfruttamento del maschio e soprattutto nei call center c'è una popolazione di faraonesse in cerca della loro piramide. Siete senza dignità, senza niente. Neppure la speranza degli operai degli anni '50. Quei bei tempi in cui le femmine se ne stavano a casa e in fabbrica i maschi erano la maggioranza!
Mi dispiace amico, anche tu stai pagando l'ennesimo debito delle generazioni precedenti.
Adattati.

martedì 12 giugno 2007

Il passaggio da "schiavo moderno" a "schiavo volontario" (e ignaro)

Parte II
Un giorno decido di andare via di casa. Non potevo più stare con i miei genitori, mi mancava la libertà. Il regime poco democratico di casa mia (mio padre è militare) mi portava a subire gli orari più assurdi e le regole più fuori moda (mio padre è di origini meridionali - ma di quelli che non sa che le cose sono cambiate anche lì).
Sorvolo sul MEZZO che ho scelto per abbandonare il NIDO in fretta (che è causa e motivo della mia attuale propensione verso la precarietà), ma indipendentemente da ciò mi servivano i soldi.
Infatti nel frattempo il mio contratto presso l'ente dove prestavo prestazione super-occasionale era terminato, senza rinnovo. C'era stata la proposta di continuare a stare lì gratis, "per imparare" qualcosina, ma sinceramente la cosa non mi garbava: meglio spappolarmi il fegato con 10 ore al giorno di telefonate inbound, con la possibilità di fare qualche lira da mettere da parte. In più avevano anche "migliorato" la mia situazione contrattuale: da collaborazione occasionale (in ritenuta d'acconto) a co.co.co.. Un salto di qualità, per noi giovani di quegli anni che non sapevamo nemmeno la differenza tra i due!
Insomma, ancora nel frattempo, acquisto anche una casa. Ma mica in contanti, con un mutuo! Non parlo di quante banche mi hanno indicato la porta appena saputo del mio contratto: è stato lì che ho realizzato formalmente cosa prevedeva essere un atipico (allora ci definivamo così, con meno autocommiserazione).
Ma una banca mi ha risposto con la concessione del prestito: logicamente a fronte della firma dei miei genitori come garanti, ma nulla di male a chiedere l'aiuto della famiglia, no?
Logicamente mi sono anche dovuta accontentare di un appartamento da raggiungere con 5 piani di scale a piedi e in un palazzo un pò fatiscente e vecchio!
Comunque alla fine ci sono riuscita a lasciare casa dei miei.
Poi un giorno che ero in turno (allora potevamo ancora chiamarli così), mi chiamano i responsabili e, similmente alla storia che ho raccontato già, mi comunicano che sarò supervisore (quando potevamo chiamarli così).
Mi comunicano i miei nuovi orari di lavoro (allora si faceva), che cambiavano a discrezione del responsabile della filiale di allora, in palese atteggiamento di subordinazione (a quei tempi non c'era Damiano).
Nel frattempo inviavo curriculum a destra e a manca. Nulla toglie che si voglia migliorare, no?
Nel frattempo mi stava bene stare dove stavo. Meglio che disoccupati, no?
Se mi sono lamentata non è mai stato per il contratto, o meglio, sì, ma semplicemente perchè i ritmi erano moooolto più pesanti: lavorare fno alle 22.00, continuamente sorvegliate dal responsabile che metteva parola su tutto (pause, orari, lavoro, pranzo, internet, cellulari e via dicendo).
Mai sentita in stato di schiavitù: schiavo è chi è COSTRETTO a lavorare e NON viene pagato. A me nessuno mi costringeva e soprattutto venivo pagata (12.000 lire all'ora).
Anzi, quando ci sono stati i momenti di crisi, nessuno mi ha detto "ora stai a casa".
A me stava bene quella situazione come a loro.
Quando mi sono stufata, mi sono imposta. Ma ci sono riuscita a fronte delle certezza che avevamo con chi era con me a BATTERSI e a LITIGARE con il responsabile di essere una persona valida, preparata e con TANTA voglia di lavorare.
Ero una persona non indispensabile, ma che sarebbe dispiaciuto perdere.
Ed è bastato che una sola di noi lasciasse l'azienda, che il nostro responsabile ha fatto assumere le altre. Per paura di perdere anche noi (parole sue!).
E dopo quattro mesi è arrivato il contratto. Gennaio 2004: Biagi mi ha salvata, non sono mai stata in Co.pro!
Quello che voglio dire è che da allora (2004) poche persone ho visto essere come noi.
Pochi giovani.
Vengono qui convinti che le cose siano dovute, sono sempre pronti a gridare all'ingiustizia, ma la voglia di lavorare, di farlo bene, di emergere e l'affidabilità dove sono?
In questi anni di ventenni idealisti ne ho visti tanti: pochi erano dei gran lavoratori, quasi tutti prendevano sotto gamba quest'azienda, considerandola un passaggio (tra l'altro non necessario).
Certo non è l'aspirazione di nessuno lavorare in un call center.
Come mi ha detto una volta una'operatrice, studentessa in Scienze della Comunicazione, "mica farò la telefonista a vita!". Non le ho nemmeno risposto, ma mi chiederò sempre se questa ragazza dopo che si è laureata ha trovato SUBITO il lavoro "dignitoso" che tanto sembrava le sarebbe dovuto spettare.
Io sono dell'idea di non chiudersi mai nessuna porta. Non fai la telefonista a vita, se non sei una mediocre, se hai voglia di fare.
E allora cresci, anche in un call center.
E se anche i giovani la pensassero così, si potrebbe fare tanto anche per posti come questo. Si potrebbe migliorare, con idee giovani, vivaci e innovative che magari noi a trent'anni non abbiamo più.
E non ci sarebbero schiavi, né schiavisti.

venerdì 8 giugno 2007

Precari e contenti, il call center è il mio regno

Anche Dory rende la sua testimonianza!
Leggetela qui


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In questi giorni sono stata incasinata di lavoro: c'è qui un altro cliente, un'azienda importante ed affermata a livello nazionale, con fatturati da sballo, in visita per formare il personale per poi sfruttare il call center pagando "un bianco e un nero".
Due giorni di formazione full time, 8 ore al giorno, 11 persone tra operatori, team leader e supervisori, 50 ore di programmazione per il software = 0 euro pagati dal Committente.
Mentre il call center paga. Comunque.

La finalità è un teleselling durante il quale noi dovremo produrre contratti per loro e loro ci ripagheranno con provvigioni da miseria.
Significa che se il Call Center non produce, non viene pagato.
Se produce, viene pagato comunque poco.
Mentre le paghe a noi come agli operatori arriveranno lo stesso...

Ma "il mercato è stagnante" (per dirla alla commerciale) e bisogna cogliere quelle "occasioni" che arrivano, per fare un pò di fatturato e riempire le postazioni.
D'altra parte sarà impossibile che qualcosa cambi finchè ci saranno "call center" del cavolo, privi di professionalità e improvvisati (soprattutto al sud) che tengono gli operatori in nero, o li pagano a provvigioni vergognose.
E' logico che questi sciacalli riescono a fare offerte bassissime ai potenziali clienti.
In tal modo si uccide il mercato.
E' un fenomeno che deve andare arginato.
Dove sono i sindacati? e gli Ispettori?

E i committenti intanto partecipano a questo sfruttamento.
E noi ci dobbiamo adattare, accettando offerte ridicole, pur mantenendo la nostra serietà ed immagine.
Per non parlare delle strutture, tecnologie ecc.
Poi ci si chiede perchè nelle sale i team leader fanno leva sugli operatori perchè producano e diano il massimo. E perchè i Supervisori devono motivare i team leader, perchè spronino il personale.
E i Manager stressano i Supervisori chiedendo rese alte per riuscire a far tornare i conti su attività che "si sono dovute accettare". Dando la colpa ai commerciali.
Alla fine chi è che sfrutta?

venerdì 1 giugno 2007

Il passaggio da schiavo pre-moderno a "schiavo moderno"

Parte I

Mi sono laureata nel 1998, presso la facoltà di scienze matematiche fisiche e naturali, a 23 anni.
Dopo due settimane lavoravo presso l'ente che mi aveva ospitata per le ricerche inerenti alla mia tesi: dovevo fare una semplice attività di data entry. "Contratto d'opera", 100.000 lire al mese.
Due mesi dopo mi chiamano a casa, un professore dell'università ha dato il mio nominativo. Devono aprire una centrale elettrica a "biomasse" e la regione ha stanziato i soldi per un "master" e uno "stage". Con estrema certezza mi dicono che avrò un lavoro in questa nuova struttura. 3500 lire all'ora per 800 ore totali. Finisco in fretta la mia prestazione d'opera al museo e passo a questa formazione.
Per più di tre mesi faccio la pendolare per diverse località della regione.
Inizio uno stage presso la società che doveva costruire la centrale, dopo qualche settimana vengo spostata in un altro laboratorio: analizziamo le "acque" che grandi industrie fanno "refluire" nei fiumi. I grandi ricercatori però non si sporcano mai le mani e mandano me di persona al depuratore della città per prelevare campioni (in grosse taniche) da analizzare (tralascio i dettagli).
Un giorno travasando una di queste taniche di "acque reflue" in un'altra, succede un pasticcio e mi verso tutto il contenuto addosso. Per 3500 lire all'ora mi trovavo fradicia di un liquido che non sto a dire... col nodo in gola ho pensato "ma chi cazzo me lo fa fare?"
Infatti per questioni poliche ed economiche la centrale non è stata aperta e il discorso "biomasse" si è chiuso lì (e forse non sarebbe stato un bene solo per me se fosse continuato).
E allora mi iscrivo ad un corso di grafica, mentre cerco un lavoro.
L'ente con cui mi ero laureata mi richiama: un nuovo contratto d'opera a 100.000 lire al mese. Accetto, avrò sempre qualcosa da imparare: invece questa volta il lavoro consiste nello spostare fisicamente dei campioni (circa 20000 vasetti di vetro) dalla cantina al terzo piano della struttura, un vecchio palazzo austriaco logicamente privo di ascensore. Quattro mesi così e non dico queli erano le condizioni in cui lavoravo (credo non ci fosse neanche l'INAIL...ma ispettori non ne ho mai visti!).
Mi rinnovano il contratto: questa volta devo pulire dalla polvere una collezione e catalogare tutto. Il lavoro si svolge nello scantinato della struttura. Con i topolini che passeggiano sugli scaffali in alluminio (sento i loro passetti!). Ma è normale: è la gavetta.
Io sto solo lì a lavorare sodo, perchè prima o poi arriverà il mio riscatto. E un giorno arriva una speranza: indicono un concorso per un'assunzione. In realtà sono due, ma ad uno mi invitano a non presentarmi proprio (e non è la sede per proseguire...).
Solo che non si sa quando. E io intanto ho bisogno di soldi.
Al termine del mio corso di grafica avevo conosciuto una ragazza che lavorava in un posto dove si risponde ai numeri verdi.
E così comincia la mia avventura qui dentro.
Parallela a quella di un laboratorio con i campioni da spostare, mentre IMPARO in un call center come è un posto di lavoro VERO. Vero nel senso che siamo tutti uguali, che esiste la MERITOCRAZIA, non la raccomandazione, o la subordinazione giustificata dal numero delle pubblicazioni e dei dottorati.
Un giorno mentre ero in cantina a lucidare i miei campioni e a catalogarli entra uno dei direttori e mi invita a esporre il mio lavoro ad un gruppo di studenti della mia ex facoltà venuti in visita. E spiegare qual'è il lavoro che andrà a fare una persona con la nostra laurea, dando qualche consiglio sugli studi. E che gli dico?

Dai dati raccolti dal Clum CMME si stima che nel 2002 in Italia erano attivi 1280 call center , con un incremento del 34% dal 2000, anno in cui le postazioni (l'unità di misura occupazionale adottata nel settore) erano 73 mila. Nel 2001 - come riportato dall'ISIMM (Istituto per lo studio dell'innovazione dei media) - il 26,4% degli italiani adulti, pari a tredici milioni di persone, ha parlato almeno una volta con uno di loro.
Il 93% degli operatori ha un'età compresa fino a 29 anni, ma l'età media cresce di pari passo con il miglioramento del ruolo professionale, visto che il 94% dei supervisori ha più di
26 anni e, di questi, il 47% oltre i 30.
Sul titolo di studio si scopre che il 62% dei call center impiega meno del 40% di operatori laureati ed è elevata la percentuale di aziende che utilizzano i diplomati anche come manager.

mercoledì 30 maggio 2007

A mani vuote

Ho visto manager aziendali arrivare dalla sede di Milano, invitarmi a svuotare il sacco, fare i confidenti e poi utilizzare quello che gli avevo detto contro di me. Li ho rivisti dopo sei mesi relegati nell'angolo più remoto dell'organigramma societario.

Sono stata accusata di essere poco professionale e immatura, perchè mi metto sempre di traverso e sono antiaziendalista. Ad un mese di distanza il mio accusatore era stato trasferito e declassato.

Sono stata tuttavia anche tacciata di essere una manovratrice, una polemica, una stronza ed una "capetta". Le persone che me lo hanno detto, in faccia e alle spalle, sono adesso tra quelle più care che ho.

Ho sentito con le mie orecchie milanesi chiedermi se lo sloveno è un dialetto triestino.
Ho sentito chiedere se dalla loro città si passa per caso per la mia per raggiungere le coste Croate. Ho sentito sostenere che Torino è a un tiro di schioppo da Bologna, mentre Trieste è troppo lontana. E ho dovuto mordermi la lingua.

Ho letto lamentele sulle nostre vendite troppo scarse, perchè i triestini sono troppo precisi e lavorano bene su altro genere di attività. Dopo i venditori d'assalto milanesi avevano le nostre stesse rese (perchè erano calate).

Ed ho visto questo call center traboccare di persone.
Dopo un mese abbiamo perso la commessa e la sala era deserta.

Ho assistito alle operatrici di outbound che raschiavano i nominativi, richiamando e richiamando ancora numeri telefonici inesistenti per poter prolungare le loro ore di lavoro. Ho sentito clienti chiedere meno turn over e più stabilità per i lavoratori. Nel frattempo reclamavano ancora sconti.

Ho assistito a riunioni in cui i collaboratori domandavano perchè dovevano essere costretti all'assunzione. Sono rimasta allibita mentre chiedevano se così sarebbero stati costretti a rispettare degli orari e a lavorare ogni giorno. Ed ho ascoltato le loro lamentele sulla mancata esposizione dei contenuti della finanziaria 2007 da parte dell'azienda. Entro sei mesi queste persone saranno assunte ed entreranno a pieni diritti nel mondo del lavoro.

Ho visto una sindacalista lavorare con noi, e proporre meno di due anni fa in un incontro con l'amministratore delegato solo una garanzia sul monte ore e la sottoscrizione da parte dei collaboratori di una polizza su infortuni e malattia. Dopo due mesi non si è più vista, sparita. Oggi si appella al suo diritto di primogenitura e pretende gli allori per una lotta che non ha portato avanti lei.

Ho visto facce allibite quando è stata proposta la prima assemblea sindacale nel nostro call center. Ho sentito parlare di macchinazioni, solo perchè il contatto proveniva da un responsabile. Ho sentito addirittura dire che si voleva direzionare gli operatori verso un'unica sigla sindacale, e che la manovra veniva dalle alte sfere manageriali. Li ho sentiti persino ammettere che se non si fosse presentato alcun sindacato, avrebbero firmato tutto quello che l'azienda gli avrebbe propinato.
Poi i diffidenti si sono recati presso un'altra associazione, e con l'illusione che fosse come al mercato (alla ricerca del miglior offerente), ho assistito a spaccature e rotture interne, al caos ideologico, alla confusione istituzionale. All'ignoranza e alla stupidità.
E' passato un mese da allora: nulla si è mosso, tutto e rimasto come prima e ancora una volta, perchè tutti devono badare solo al loro orticello, perchè tutti devono essere diffidenti verso l'altro, resteremo ultimi.
A mani vuote, sempre in coda, sempre dislocati, sempre troppo lontani.
E intanto Bologna si ingozza.

venerdì 25 maggio 2007

La cuffietta appesa al chiodo

Un giorno arrivi in ufficio, tutto tranquillo, ti siedi in postazione e ti loghi al pc. Attacchi la tua cuffietta, ti sistemi i manuali, controlli la posta (e già mi vien da ridere) e chiedi se ci sono aggiornamenti. Ti metti "available" sul client e attacchi a rispondere al telefono.
Un giorno arrivi in ufficio, hai passato una serataccia, non fai niente, semplicemente accendi il pc, ti loghi e ti metti "available". Cominciano ad entrare le chiamate e iniziano le prime rogne al telefono.
Un giorno arrivi in ufficio, magari qualche minuto prima, ridi e scherzi con i colleghi, organizzi la serata o il finesettimana con loro, la partita a calcetto con le colleghe che vengono a fare il tifo, intanto rispondi e commenti le cazzate che sparano i chiamanti, leggi il giornale, guardi internet con gli altri ... quando sul più bello arriva il responsabile del Call Center. Ti invita, appena libero, a recarti nel suo ufficio.
Ridendo e scherzando con i colleghi ti chiedi cosa avrai mai combinato stavolta, ti alzi e vai a vedere che cosa c'è.
Il responsabile ti comunica che data la tua affidabilità, bravura, preparazione, professionalità e serietà, hanno deciso che diventerai un SUPERVISORE.
Sììììììì, basta con telefoni, stronzi che chiamano, rotture di balle, sarai un supervisore, un team leader o come chiamarlo, ma puoi finalmente appendere quella cazzo di cuffietta al chiodo.
Il giorno successivo arriva la mail da parte del responsabile del CC: "con la presente vi comunichiamo che da lunedì avrete un nuovo supervisor ...". Che soddisfazione. D'altra parte te ne sei accorto quando sei arrivato in ufficio. Facce lunghe, serie, freddezza e poca voglia di scherzare. Nell'imbarazzo di dover spiegare, non parli. Tutto il resto della settimana lo passi nella tua postazione, solo, mentre gli altri parlottano tra loro e ti escludono da qualunque discorso riguardante l'azienda e il lavoro.
Passano gli anni, nonostante tutto, cerchi di rifarti. Ridi e scherzi in sala, cerchi di meritare la fiducia e la stima dei colleghi, lavorando bene e seriamente. Cerchi di far capire che nonostante tutto sei ancora un collaboratore, come loro.
Ma è la cuffietta che fa la differenza.
Un giorno vieni assunto. Con i colleghi va tutto bene, si esce la sera, si gioca a calcetto. Sembra filare tutto per il meglio, finchè il responsabile del call center non molla il colpo.
E il suo posto lo propongono a te.
Un'esperienza e una possibilità da non perdere. Una crescita professionale e finalmente la tua affidabilità, bravura, preparazione, professionalità e serietà veramente premiati.
Non più a fare lo schiavetto aziendale, lo schiavetto dei responsabili e degli operatori tutti assieme.
Continuano comunque le partite a calcetto, le serate in birreria e le cene aziendali. Ed inizi anche a portare la cravatta, raramente vieni in jeans, tantomeno in pantaloni corti. I pensieri aumentano, come le responsabilità e il tuo viso è sempre più teso, meno sorridente e lo sguardo più tirato.
Gli scherzi con i colleghi sono meno, perchè meno sono i momenti che passi in sala. Sempre in ufficio, sempre al telefono, per trovare il modo di "centralizzare" questa filiale "dislocata", per far sì che si prendano altre commissioni, che qui si lavori tutti, team leader, supervisori, responsabili ed operatori. Perchè siamo tutti nella stessa barca.
Ma è la cravatta che fa la differenza.
E ti accorgi che in questo Call Center c'è anche l'invidia, la diffidenza, il sospetto, le congetture e le macchinazioni.
E così, per inerzia, per necessità o per ripicca, ti metti contro.
L'ambiente non è più quello di una volta, per te.
Gli amici veri sono rimasti pochi. E a volte hai difficoltà a fidarti anche di loro.

Ma è una guerra tra poveri e io non mi ci farei prendere troppo dentro, se fossi in te.
I problemi sono altri, più grandi e chi è con te l'ha capito.

(Ogni riferimento è del tutto casuale. Ma questa storia è tanto inventata, quanto incredibilmente vera.)

mercoledì 23 maggio 2007

Incidenti scomodi e Ispezioni comode

Un incidente ogni 15 lavoratori.
Un morto ogni 8.100 addetti.
La seconda provincia con il maggiore tasso di incidenti (anno 2005) è Gorizia. (Eurispes)
Sarei curiosa di sapere quanti di questi incidenti sono avvenuti il primo giorno di lavoro dell'addetto.
E noi che si fa?

lunedì 21 maggio 2007

IL TEST - Sei un bravo operatore di Call Center?

Rispondi sinceramente alle domande e scopri se sei un bravo Agente Telefonico!!

Domanda 1 - Quando arrivi in ufficio:
a. Vai subito a prendere i manuali che si trovano nello stipetto a te assegnato nell'armadio e ti loghi nella prima postazione disponibile, secondo le indicazioni offerte dal tuo supervisore, come minimo cinque minuti prima dell'inizio del tuo turno (ops! "orario di copertura del servizio")
b. Ti loghi direttamente nella TUA intoccabile postazione i manuali sono già lì. Non lo fai in anticipo perchè sei un lavoratore autonomo e ti puoi logare quando ti pare e piace.
c. Il problema non si pone perchè non hai manuali, non ti servono, sai già tutto e se trovi qualcuno sulla tua postazione lo cacci via, appellandoti alla tua anzianità di servizio.

Domanda 2 - Mentre sei in turno:
a. Navighi in internet tenendo la finestra piccola e iconizzi appena passa il supervisor
b. Giochi a Majong, appena arriva una telefonata chiudi tutto. Se passa la supervisor te ne freghi, sei un lavoratore autonomo e devi difendere questo tuo diritto.
c. Guardi immagini semi-pornografiche commentando e sghignazzando con i tuoi colleghi, se arriva una chiamata lasci il sito aperto. La supervisor non ti può vedere perchè ti posizioni in una delle postazioni più "discrete".

Domanda 3 - Sei comodamente accomodato in postazione e stai leggendo la "Gazzetta dello Sport" quando ti accorgi che uno sconosciuto in giacca e cravatta sta per varcare l'ingresso della Sala accompagnato dal tuo responsabile del Call Center:
a. Non leggo la "Gazzetta dello Sport", pertanto non mi si pone il problema, piuttosto mi sistemo meglio in postazione per sfoggiare allo sconosciuto visitatore tutta la mia professionalità di "consulente teefonico"
b. Chiudo la "Gazzetta dello Sport", ma a quel punto devo aprirmi internet, questo visitatore capirà che è necessario che noi operatori si abbia come passare il tempo tra una chiamata e l'altra.
c. Continuo a leggere la gazzetta, il visitatore è sicuramente uno dei soliti capetti della sede di Milano.

Domanda 4 - Durante una telefonata il tuo interlocutore ti da del filo da torcere, insultando te e l'azienda per cui lavori (ops! offri prestazione...):
a. Sfoggi il tuo "Sorriso telefonico", proponendo con eleganza e cortesia l'invio di una segnalazione al secondo livello
b. Cerchi di far valere le tue ragioni, e se non ci riesci inviti il chiamante a telefonare dopo le 17.00, quando potrai passargli un responsabile (tanto tu finisci alle 16.30...).
c. mah, che strano, ... è caduta la linea...

Domanda 5 - Mentre sei al telefono:
a. Usi sempre la cuffietta è comoda per quando è necessario scrivere delle segnalazioni da inviare al II livello
b. Usi sempre la cornetta, fa meno telefonista di call center, le e-mail le scrivi dopo aver chiuso la chiamata
c. Cuffietta? cornetta? e-mail? che cosa sono?

Domanda 6 - Alle cene di lavoro:
a. Hai partecipato qualche volta, non sempre ti è possibile conciliare con gli impegni personali
b. Hai sempre partecipato, sono divertenti ma cerchi di rimanere in disparte e mantenere un tono professionale
c. Hai sempre partecipato e appena i responsabili vanno via cominci a dar giù di birra e a fare commenti osceni su tutte le colleghe/i

Domanda 7 - Le tue pause:
a. le rispetti sempre, chiedendo prima al tuo supervisore se c'è qualche altro collega per non sovrapporti.
b. appena scatta l'ora vai in pausa, è un tuo diritto di lavoratore autonomo
c. vai in pausa quando sei stanco e nessuno sa se e quando rientrerai

Domanda 8 - La posta interna per te è:
a. un eccezionale strumento per tenersi aggiornato sul servizio
b. uno strumento valido, se ti ricordassi di consultarla sempre
c. non sapevi di avere una posta interna, però di solito tieni sempre aperta quella personale.

Domanda 9 - Durante una telefonata ti viene chiesta un'informazione su cui hai qualche dubbio:
a. immediatamente metti in attesa utilizzando la funzione Hold del client per consultare con calma il manuale ed eventualmente consultarti con un supervisore
b. dici all'interlocutore di "aspettare un attimino" e interrompi la comunicazione col tasto "mute" del telefono chiamando a voce piena il supervisore dal mezzo della sala
c. non hai mai dubbi perché sai tutto, pertanto il problema non si dovrebbe porre. E se non dovessi saper rispondere puoi inventarti che hai un problema tecnico e invitare a richiamare più tardi... (sperando che la chiamata la prenda un altro!)

Domanda 10 - Lavorare in Call Center per te è:
a. gratificante
b. ti tocca, in attesa di trovare un lavoro serio
c. uno spasso, come andare al "Bar dello Sport", adesso che mi assumono, poi...

RISPOSTE:
Se hai risposto per la maggioranza A - Sei un operatore impeccabile davvero o un gran lecca - culo? nel primo caso, rilassati, offri una prestazione autonoma in un Call Center, mica alla Microsoft! Il consiglio è di non prenderti troppo sul serio, ma di dimostrare di essere un pensatore, piuttosto che un contenitore!
Se hai risposto per la maggioranza B - Sei un equilibrio abbastanza giusto per uno che lavora in Call center, non ti manca nulla. Sei conscio della tua condizione di lavoratore autonomo, ma non ne abusi, conscio del fatto che prima o poi ti toccherà diventare un dipendente subordinato, sei lungimirante.
Se hai risposto per la maggioranza C - Complimenti! la tua carriera all’interno di un Call Center è assicurata! Sei egoista al punto giusto, se possibile cerchi di infamare il collega per il tuo tornaconto e nell'ottica di ottenere il tanto sospirato ruolo di supervisore, per menartela ancora di più.

mercoledì 16 maggio 2007

Sindacati e comunicati

Nel "Comunicato unitario sulle stabilizzazioni nei Call Centers", visualizzabile sul sito della UIL, leggiamo la lettera di trionfo delle tre principali sigle sindacali sulle sospirate e combattute assunzioni degli operatori telefonici.
In particolare leggiamo che nel nostro settore saranno (anche se in realtà leggiamo "sono stati") stabilizzati circa 20.000 lavoratori di cui il 90% con contratto a tempo indeterminato.
Di questi
  • circa 18.000 saranno assunti con contratto telecomunicazioni - il più vantaggioso per il datore di lavoro, quanto a costi -, attraverso 50 accordi sindacali
  • circa 1000 con contratto metalmeccanici con altri 20 accordi
  • circa 1000 con contratto terziario con 40 accordi.

CGIL, CISL e UIL sono contenti, perchè per la maggior parte si tratta di giovani e di donne e si propongono di affrontare il problema della committenza per contrastare il ricorso ad offerte al massimo ribasso.

I sindacati inoltre si propongono di analizzare le ragioni per cui un tale risultato non è stato ottenuto nei settori al di fuori dei call center.

Anche a me piacerebbe saperlo, perchè tra qualche mese saremo al paradosso: gli operatori saranno dipendenti, mentre i nostri committenti, oltre a chiedere sconti o alla peggio ad abbandonarci, dopo averci sfruttato per anni, continueranno a tenere personale precario.

Pur facendo soldi a palate, per i settori in cui operano, non solo non creano call center in casa loro (e quindi posti di lavoro PIU' stabili), ma addirittura tengono i loro impiegati a progetto, mascherando con tale forma contrattuale un vero e proprio lavoro subordinato.

Eppure in un mese il nostro call center, come altri in tutta Italia, ha subito ispezioni e sanzioni a tappeto, mentre dubito fortemente che le stesse ci siano state in assicurazioni, banche, fabbriche, cantieri e quante altre società di capitale che facciano fatturati da sballo e forse anche tremare le gambe a qualcuno che manca del coraggio di affrontarli.

martedì 15 maggio 2007

L'Osmiza: Locale Precario

Ho deciso che ogni domenica fino a fine maggio/inizi giugno voglio passarla lì.
Altro che andare a cuocersi a Barcola: vino, cibo, sole, fresco e quando vuoi è probabile che scatti la partitina a briscola (non che io sia brava ma almeno ci provo!).
Perchè locale precario: perchè si tratta di posti aperti solo per alcune settimane all'anno.
Quindi il locale che fa per me: non c'è legame col posto, ogni settimana si cambia, senza affezionarsi troppo e senza il rischio di stancarsi o incontrare sempre la stessa gente.

Così alcuni di noi precari, a tempo indeterminato o a progetto che sia, di questo Call Center triestino passiamo spesso le nostre domeniche in Carso, dimenticando per un giorno il nostro triste stato da "schiavi moderni", per dirla alla maniera di qualcun altro.

C'è in realtà solo una cosa che mi preoccupa: sempre meno spesso vedo i giovani frequentare questi posti, sempre più spesso le persone della mia età o più adulte.
Eppure ricordo che la bellezza di 15 anni fa, appena maggiorenne e con la patente, l'osmiza fu tra le prime mie mete "fuori città", da raggiungere in 126, di nascosto dai genitori e in compagnia dei compagni di classe.
Ma a quei tempi non c'erano pattuglie ovunque...

venerdì 11 maggio 2007

Famiglia Precaria

Domani c'è la manifestazione del Family Day.
Domani ci saranno persone da ogni dove che andranno a Roma a sostenere che "Ciò che è bene per la famiglia è bene per il Paese". Ma sicuramente non mancheranno slogan contro i cosiddetti DICO.
Ora, essendo protesa verso la precarietà, credo che sia logica la mia posizione a riguardo.
Tra l'altro aggiungo che essendo un'estremista della precarietà, io non mi aspetto né chiedo nulla allo Stato sulla mia posizione, dato che ritengo che esista sempre una logica di priorità e mi sembra assurda tutta questa attenzione su problemi non fondamentali rispetto ad altri su cui sarebbe meglio che il nostro Governo si concentrasse.
E' logico che le questioni che permettono a chiunque di dire la sua, dall'"ignorante" al "colto", attraggono l'attenzione maggiormente delle questioni economiche, finanziarie, legislative o fiscali.
Almeno su quest'argomento ci capiamo qualcosa.
E' pertanto più facile strumentalizzare le persone che non arrivano alla finezza dei nostri politici (e del "clero").
A parte questo, questione omosessuali a parte (non parlo di tematiche che non conosco), la migliore maniera per far sì che ci sia maggiore tutela verso le coppie di fatto è essenzialmente agevolare le separazioni e i divorzi.
Riducendone costi e tempistiche.
Così è più leggera la decisione che porta al matrimonio, la prima, la seconda etc volta...
Anche il matrimonio sarebbe più precario... ma serabbe una questione più personale.
Forse è qui che si dimostra la mancanza di laicità da parte dello Stato.
Per evitare il dibattito molto più acceso sui divorzi "facili", hanno pensato di risolverla mettendo conviventi omosessuali ed etero tutti nello stesso brodo. Facendo finta che con un paio di certificati anagrafici in più risolvi il problema.
A chi parteciperà alla manifestazione dico che sinceramente credo che siano pochi i DICO contenti di questi DICO para-stabilizzati.
Pertanto se fossi in loro io domani non mi disturberei ad andare a Roma.
...E poi io sono talmente pigra che sti certificati non andrei nemmeno a farli!