Parte II
Un giorno decido di andare via di casa. Non potevo più stare con i miei genitori, mi mancava la libertà. Il regime poco democratico di casa mia (mio padre è militare) mi portava a subire gli orari più assurdi e le regole più fuori moda (mio padre è di origini meridionali - ma di quelli che non sa che le cose sono cambiate anche lì).
Sorvolo sul MEZZO che ho scelto per abbandonare il NIDO in fretta (che è causa e motivo della mia attuale propensione verso la precarietà), ma indipendentemente da ciò mi servivano i soldi.
Infatti nel frattempo il mio contratto presso l'ente dove prestavo prestazione super-occasionale era terminato, senza rinnovo. C'era stata la proposta di continuare a stare lì gratis, "per imparare" qualcosina, ma sinceramente la cosa non mi garbava: meglio spappolarmi il fegato con 10 ore al giorno di telefonate inbound, con la possibilità di fare qualche lira da mettere da parte. In più avevano anche "migliorato" la mia situazione contrattuale: da collaborazione occasionale (in ritenuta d'acconto) a co.co.co.. Un salto di qualità, per noi giovani di quegli anni che non sapevamo nemmeno la differenza tra i due!
Insomma, ancora nel frattempo, acquisto anche una casa. Ma mica in contanti, con un mutuo! Non parlo di quante banche mi hanno indicato la porta appena saputo del mio contratto: è stato lì che ho realizzato formalmente cosa prevedeva essere un atipico (allora ci definivamo così, con meno autocommiserazione).
Ma una banca mi ha risposto con la concessione del prestito: logicamente a fronte della firma dei miei genitori come garanti, ma nulla di male a chiedere l'aiuto della famiglia, no?
Logicamente mi sono anche dovuta accontentare di un appartamento da raggiungere con 5 piani di scale a piedi e in un palazzo un pò fatiscente e vecchio!
Comunque alla fine ci sono riuscita a lasciare casa dei miei.
Poi un giorno che ero in turno (allora potevamo ancora chiamarli così), mi chiamano i responsabili e, similmente alla storia che ho raccontato già, mi comunicano che sarò supervisore (quando potevamo chiamarli così).
Mi comunicano i miei nuovi orari di lavoro (allora si faceva), che cambiavano a discrezione del responsabile della filiale di allora, in palese atteggiamento di subordinazione (a quei tempi non c'era Damiano).
Nel frattempo inviavo curriculum a destra e a manca. Nulla toglie che si voglia migliorare, no?
Nel frattempo mi stava bene stare dove stavo. Meglio che disoccupati, no?
Se mi sono lamentata non è mai stato per il contratto, o meglio, sì, ma semplicemente perchè i ritmi erano moooolto più pesanti: lavorare fno alle 22.00, continuamente sorvegliate dal responsabile che metteva parola su tutto (pause, orari, lavoro, pranzo, internet, cellulari e via dicendo).
Mai sentita in stato di schiavitù: schiavo è chi è COSTRETTO a lavorare e NON viene pagato. A me nessuno mi costringeva e soprattutto venivo pagata (12.000 lire all'ora).
Anzi, quando ci sono stati i momenti di crisi, nessuno mi ha detto "ora stai a casa".
A me stava bene quella situazione come a loro.
Quando mi sono stufata, mi sono imposta. Ma ci sono riuscita a fronte delle certezza che avevamo con chi era con me a BATTERSI e a LITIGARE con il responsabile di essere una persona valida, preparata e con TANTA voglia di lavorare.
Ero una persona non indispensabile, ma che sarebbe dispiaciuto perdere.
Ed è bastato che una sola di noi lasciasse l'azienda, che il nostro responsabile ha fatto assumere le altre. Per paura di perdere anche noi (parole sue!).
E dopo quattro mesi è arrivato il contratto. Gennaio 2004: Biagi mi ha salvata, non sono mai stata in Co.pro!
Quello che voglio dire è che da allora (2004) poche persone ho visto essere come noi.
Pochi giovani.
Vengono qui convinti che le cose siano dovute, sono sempre pronti a gridare all'ingiustizia, ma la voglia di lavorare, di farlo bene, di emergere e l'affidabilità dove sono?
In questi anni di ventenni idealisti ne ho visti tanti: pochi erano dei gran lavoratori, quasi tutti prendevano sotto gamba quest'azienda, considerandola un passaggio (tra l'altro non necessario).
Certo non è l'aspirazione di nessuno lavorare in un call center.
Come mi ha detto una volta una'operatrice, studentessa in Scienze della Comunicazione, "mica farò la telefonista a vita!". Non le ho nemmeno risposto, ma mi chiederò sempre se questa ragazza dopo che si è laureata ha trovato SUBITO il lavoro "dignitoso" che tanto sembrava le sarebbe dovuto spettare.
Io sono dell'idea di non chiudersi mai nessuna porta. Non fai la telefonista a vita, se non sei una mediocre, se hai voglia di fare.
E allora cresci, anche in un call center.
E se anche i giovani la pensassero così, si potrebbe fare tanto anche per posti come questo. Si potrebbe migliorare, con idee giovani, vivaci e innovative che magari noi a trent'anni non abbiamo più.
E non ci sarebbero schiavi, né schiavisti.
12 commenti:
Ciao Dory, ho visto che mi hai lasciato un commento sul mio blog.
Ti scrivo su questo post per dirti che su molte cose la pensiamo allo stesso modo, in particolare sul fatto che anche sudando sangue da soli qualcosa (senza raccomandazioni insomma) nella vita si fa.
Anche io come te ho una laurea scientifica, in scienze biologiche e anche io per un pò di tempo ho fatto il tuo stesso lavoro.
Ci tengo a dirti che anche questa attività mi ha fatto crescere come persona, inutile lamentarsi...
Io credo che nella vita tutte le esperienze servono a insegnarci qualcosa...
Se vuoi puoi lasciarmi il tuo indirizzo di posta elettronica sul mio blog alla mia relativa e-mail.
Cordialmente Anna
La ringrazio per Blog intiresny
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
leggere l'intero blog, pretty good
La ringrazio per Blog intiresny
leggere l'intero blog, pretty good
Si, probabilmente lo e
molto intiresno, grazie
imparato molto
necessita di verificare:)
molto intiresno, grazie
http://digilander.libero.it/VNereo/nel-tempo-dello-schiavo-cretino.htm
http://youtu.be/zPPyIuAhAKE
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