mercoledì 25 luglio 2007

Due storie - La prima

Voglio raccontare due storie. Le storie di due mie amiche.
Ultimamente mi sento poco con loro, perchè per un motivo o per l'altro le nostre vite si sono divise, seguendo percorsi del tutto opposti.
La prima: una delle più vecchie e care amiche che ho. Si è trasferita dal sud per raggiungere il fidanzato che lavorava qui a Trieste. Io l'ho conosciuta all'Università, eravamo compagne di corso. Abbiamo anche fatto la tesi assieme e ci siamo laureate nello stesso anno. Ha circa 4 anni più di me e quando l'ho conosciuta lei aveva già lavorato, per mantenersi gli studi, come cameriera in un pub e come ragioniera.
Dopo la laurea anche lei si è iscritta come me ad un master.
Forte anche di questa qualifica, dopo due anni di ricerca inutile (pena forse il suo stato civile?), ha finalmente trovato un posto: come impiegata.
In pratica aveva fatto titolo il diploma e la precedente esperienza da ragioniera.
Le fanno un contratto di formazione lavoro, per due anni.
Nel frattempo si era sposata, e nell'illusione di tornare un giorno nella sua città di origine ha continuato a vivere in affitto, in un appartamento ammobiliato.
Dopo un anno e mezzo di lavoro, quando il contratto stava per scadere e dopo che l'avevano promossa e soprattutto dopo 4 anni di matrimonio ha deciso di avere un bimbo.
Regolare: è andata in maternità.
Il bimbo è nato, ha concluso la sua maternità e il giorno in cui è rientrata al lavoro le hanno comunicato di cominciare a cercare altrove perchè non le avrebbero rinnovato il contratto di formazione. L'avevano infatti nel frattempo già sostituita con una neo-laureata in legge.
Dopo un periodo di stasi, dovuto alla delusione, forse allo sconforto nel dovere ricominciare tutto daccapo, e occupata comunque a fare la mamma (e mano male che il marito è dipendente statale), la mia amica trova un altro lavoro: un part-time come socia di cooperativa (quindi precaria). Per 5 euro all'ora prepara i documenti per le gare d'appalto, attività su cui lei è specializzata.
Nel frattempo cade definitivamente l'illusione di un trasferimento e si delinea sempre più l'opportunità di costruire una vita stabile a Trieste.
Compra casa e fa un mutuo. Riceve l'aiuto dei contributi regionali.
Dopo tre anni di lavoro in cooperativa, decide di avere un altro bimbo.
La maternità per gli atipici è diversa. Si tratta di solo 5 mesi, all'80% dello stipendio. Inoltre il contratto è precario. Si può chiudere da un momento all'altro.
Il datore di lavoro si arrabbia anche questa volta.
Infatti il bimbo è nato, 5 mesi fa, e la mia amica ha ricevuto l'ultimatum di rientrare a lavoro entro settembre essendo in agosto in "ferie".
Pena la conclusione del contratto.
E quindi mi chiedo: ma noi che dobbiamo fare? dicono che l'Italia cambia, ma a me sembra che nulla si sia spostato di una virgola. Parlano di svolte, ma a me sembra sempre che navighiamo nella stessa merda. I governi mutano, come i ministri, ma nessuno sembra occuparsi di noi.
O meglio di chi non desidera altro che avere una famiglia, o anche non averla, ma almeno una certezza: che se la società deve essere stabile, allora lo sia anche il lavoro; se il lavoro deve essere precario, allora la società si adatti. Insomma qualcuno ci tenga in considerazione. Invece no: si pensa alle pensioni, alle intercettazioni, al governo, se cade o non cade, persino alle coppie di fatto. E nel frattempo lavorare, soprattutto per una DONNA ed essere indipendente, diventa sempre più complicato.

giovedì 19 luglio 2007

Etologia ed ecologia di uno Staff

I comportamenti tipici di uno Staff rispecchiano esattamente le caratteristiche comportamentali di un branco.
In genere un branco di questo genere è composto da più individui, in questo caso alquanto eterogenei, dotati di diverse specificità caratteriali e comportamentali.
Nella situazione oggetto del presente studio abbiamo subito individuato un capo - branco: il cosiddetto Misciamerda.
Il Misciamerda è un maschio, di età adulta, in fase riproduttiva. Il Misciamerda si è ben adattato agli ambienti costieri, pur provenendo dalla montagna. Caratterialmente ha la tendenza a non prendere mai una posizione specifica ed usa spesso allocuzioni quali "non vedo perché no", "sicuramente ma altrimenti", "onestamente", "sinceramente". Risulta difficile agli altri componenti del branco riuscire a comprendere a pieno quello che Misciamerda vuole dire, trattandosi quasi sempre di un tutto - niente.
Il Misciamerda però non è ancora un maschio molto affermato, dimostrando in accertati casi un certo timore verso gli individui So-tuto-mi e Mi-inveze-te-bastono. Queste ultime, femmine adulte, si sono stanziate in un territorio limitrofo che non condividono in armonia, pur essendo state divise precauzionalmente da un muro di altezza tale da non permettere alle due di beccarsi troppo.
Nell’ambiente oggetto di studio si stanno progressivamente affermando: No-son-mi-che-fazo e Femo-domani che spesso troviamo insediati nella loro comune tana.
Non ultima abbiamo Toco-de-merda, femmina in età riproduttiva avanzata, che non a caso si è accoppiata con Misciamerda. Avranno qualcosa in comune.
Infine abbiamo un elemento di disturbo, in realtà non facente parte davvero del branco, essendo lei stessa un anti-branco, Miss Prezzemolina. Si tratterebbe di una femmina di natura diffidente e determinata a essere sempre presente ed in prima linea, concentrata nel continuo tentativo di svilimento e umiliazione delle altre femmine del branco, che vorrebbe scalzare per affermare la sua presenza sul territorio, abbindolando i maschi.
In conclusione si tratta effettivamente di un branco estremamente eterogeneo per linee caratteriali e comportamentali. Spesso queste sue caratteristiche, soprattutto di So-tuto-mi, Mi-inveze-te-bastono e Toco-de-merda sono state oggetto di disapprovazione da parte di alcuni esperti venuti a studiare il territorio. Ciò che è sfuggito a questi esperti è la capacità di coalizione di questi elementi, la bravura nell’unirsi nei momenti di difficoltà, a cui sono molto abituate, e nell’affrontare i momenti di crisi.
Forse per la natura fredda, rude, schietta e poco agghindata da requisiti futili e superflui, tipica del territorio che abitano, si tratta di un gruppo a cui ben poco si è riconosciuto ed accreditato.
Sicuramente, come in ogni ricerca scientifica, i fatti daranno torto alle parole.

Carissimi colleghi tutti, non me ne vogliate, è per scherzare un pò. Spero di non aver offeso nessuno e sappiate che anche se ogni tanto sono un pò acidina e nonostante sia un certo pezzo di m... tutto sommato vi voglio bene*!
*(logicamente tranne che a Miss Prezzemolina)

giovedì 12 luglio 2007

Ancora un pò di pazienza ...

... e poi la strada sarà in discesa.

mercoledì 11 luglio 2007

Le raganelle verdi e i rospi neri

Premetto: di anfibi ne so.

C'era una volta uno stagno.
In questo stagno convivevano tante specie di anfibi, cercando in un modo o nell'altro di rispettare le loro nicchie ecologiche.
Questa popolazione poteva principalmente distinguersi in piccole, fastidiose, appiccicose, confusionarie e ciacolone raganelle verdi sparse ovunque e rudi, riservati e impacciati rosponi neri relegati nell'angolo più ameno del laghetto.


Un giorno, per essere più forti contro il loro predatori e affermarsi nel loro territorio, tutti questi anfibi assieme decisero un giorno di aggregarsi in un'unica popolazione, fatta di tanti branchi.
A capo del branco c'era Ranocchione Delegato, che nominò ben presto tutto il suo Frog Management.
Inoltre l'organizzazione prevedeva anche che responsabilità di ogni branco cadesse addosso ad un giovane Ranocchio/a-Manager, brevemente chiamato RM da tutti.
Ranocchione Delegato, mise poi tutti gli anfibi a cantare nello stagno, e RM a controllare il loro operato.


Anche i rospi dovettero adattarsi all'organigramma e il loro RM mise anche loro a cantare. Solo che questi non riuscivano ad avere la bella voce delle raganelle: infatti non solo erano buffi ed impacciati, ma il loro "CRA" era rude, anche se intenso e spiacevole, anche se si sentiva da lontano. Inoltre i rospi erano riservati, diffidenti e poco inclini alle apparenze, a differenza delle bellissime e fluorescenti colleghe raganelle. Erano ai margini, nell'angolo dello stagno più remoto, e poco le raganelle manager si preoccupavano di loro. Erano abituati a cavarsela da soli e la loro costituzione fisica e la loro tempra erano forti e vivi.
Anche se non facevano i salti lunghi delle raganelle, piano piano raggiungevano qualunque meta. Solo tra loro c’era una raganella, non si sa come si fosse infiltrata ed effettivamente rimase sempre un mistero e tutti i rospi si chiedevano che ci facesse tra loro…


Un dì funesto arrivò la siccità.
Lo stagno regredì ed iniziò a prosciugarsi in maniera tale da diventare poco più di una pozza di fango.
Presto Ranocchione Delegato abbandonò l'habitat, per rifugiarsi sul lago di Balaton in Ungheria, anche se aveva sempre preferito la Romania.
Anche il Frog Management rimase decimato. Una Frog Manager è stata vista prendere sole in stuoia sul delta del Pò, ma non c’è nulla di provato.


E le raganelle, poverine, tanto carine restavano ancora attaccate agli alberi, rifiutandosi di entrare nel fango, continuando a cantare con quel po’ di vocina che gli rimaneva, affamate e stanche.
Desiderose di una bella nuotata nell'acqua fresca.
Dall'alto dei loro alberi, estenuate, guardavano i rosponi, che invece si crogiolavano nel fango, certo sofferenti per la siccità, ma tranquilli.
"ma come fate a stare in quella melma, che schifo! che schifo!" urlarono le raganelle ai rospi
"Noi ci siamo abituati ed ora non ci lamentiamo. E' il ciclo delle stagioni, è normale, è la natura. Staremo qui, continueremo a cantare e a procurarci il cibo come abbiamo sempre fatto, anche se con la lentezza e la goffagine che voi ci avete sempre disprezzato."

Continua?

martedì 10 luglio 2007

Il castello di sabbia

Intanto voglio segnalare questo post letto sul blog di Anna.
Mi ha dato spunto per una riflessione.
E poi... ho cercato di documentarmi a riguardo ed ora che ne capisco qualcosa, aderisco anch'io all'iniziativa "MANDIAMO UNA E-MAIL A DAMIANO: NON PENSATE ALLO SCALONE, PENSATE AI GIOVANI" di Angela Padrone. Meglio tardi che mai...
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In questi giorni ho cercato di raccontare quello che sta accadendo nella mia Azienda sotto forma di favole.
Un modo per sdrammatizzare? sì, ma anche un modo per parlarne, senza peso, senza retorica, senza amarezza.
E poi che dire, una favola è una favola. Può finire solo che bene, e io voglio crederci, fino in fondo.
Anche al termine di questa vivranno TUTTI felici e contenti e magari finalmente la principessa verrà portata via dal suo cavaliere. Magari poi finalmente anche loro vivranno felici e contenti e soprattutto sereni, tranquilli di poter pagare il loro affitto, di poter pensare almeno al futuro.
Poco dico di me su questo blog. Ho sempre cercato di far trapelare una certa leggerezza, una superficialità che in realtà poco mi caratterizza. La propensione alla precarietà è invece una scelta di vita: dopo qualche fallimento e più di una brutta delusione ho deciso che forse il modo migliore per vivere è farlo di giorno in giorno. Se non programmi nulla non resti troppo deluso quando i tuoi progetti crollano, quando non ti capita ciò che è normale per gli altri.
Il bello è che, come in tutte le conclusioni importanti tratte nella mia vita me ne sono resa conto tutto in un colpo: a casa, l'altra casa, quella comprata col mutuo, guardandomi attorno ho visto come se tutto si stesse sgretolando e soprattutto tutto perdeva la sua importanza.
"Un castello di sabbia" ho pensato. E ho dato una svolta alla mia vita.
E l'ho fatto crollare, il castello. E poi ne ho costruito un altro, fatto di sostanza, di sentimenti, con anima e cuore. E mettendoci anche più cervello. E così ho risalito la china, mentre tutti mi guardavano con compassione. E così mi sono conquistata l'etichetta della "strana" anche da parte di chi mi era stato sempre vicino, anche da parte di quelle cugine milanesi perfettissime, casalinghissime, sposatissime e mammissime. Nel giro di sei mesi sono sparite nel nulla: forse è questa la vera fonte della mia aggressività verso Milano e tutto quello che le appartiene.
Oggi volevo scrivere questo. Perchè all'improvviso stamattina sono entrata in ascensore dell'ufficio e ho odiato quel posto. Poi mi sono accorta del disordine della mia scrivania, un disordine sprezzante, disgustato da questo posto. Ho visto di nuovo i castelli di sabbia, ma qui dentro, in ufficio. Non era mai capitato, davvero.
Ho pensato che basta a lottare, come va va, oppure si va via. Ma anche questo alla fine dipende, dipende da quello che mi riserva il futuro.
Ho scritto così, oggi perchè per me domani è un giorno davvero importante.
E questa volta non c'entra niente il lavoro. Volevo lasciare una traccia.
Certo è che comunque vada questa volta ho in mente un sogno da realizzare, me ne frego di tutto e, come ha detto qualcuno "un sogno è già in parte un progetto".
Quindi che ci vuole. Sono pur sempre una Project Manager, no?

lunedì 9 luglio 2007

La favola di Dory - IV La fata turchese

C'era una volta un castello.
In questo castello, del regno di Iwik, viveva un re con i suoi sudditi.
Questo re era molto scontento: non era riuscito ad accumulare abbastanza oro dal lavoro dei suoi sudditi.
In più i debiti gravavano su di lui, infatti non pagava le bollette del castello.
Allora decise di convocare la tavola rotonda con tutti i suoi giullari di corte per decidere il da farsi. Ben presto, dopo un'estenuante consiglio, giunsero alla conclusione che la miglior soluzione era buttare tutto in pasto ai coccodrilli del fossato, in quanto i contadini-vassalli non riuscivano a produrre abbastanza raccolto per soddisfare le loro esigenze.

Al culmine della disperazione, cominciarono ad invocare un prodigio o una magia e, come per incanto, comparve loro la bellissima Fata Turchese.
Il Re fu contento, perchè nel frattempo aveva già adocchiato un altro regno in cui portare il suo oro, e pertanto abdicò.
Così a governare il castello fu la Fata Turchese.
Fata Turchese cominciò subito col suo piano d'azione: tanto che alcuni sudditi furono contenti, altri no. Infatti tentò subito di dare un taglio alle spese.
Nel frattempo, i sudditi di un piccolo feudo lì vicino, che sempre erano stati sotto il regno di Iwik, fiduciosi della nuova gestione di Fata Turchese, inviarono il loro messo, Mago Carlino a portare doni ed offerte alla bella fatina. Ma Mago Carlino non trovò l'accoglienza prevista e dopo un lungo scambio di magie e sortilegi, dovette decretare la sua sconfitta.
Così anche il feudo rimase sotto la guida della simpatica Fata Turchese.
La situazione, però, nonostante la gestione dai costi ristretti non migliorava, e né la mancanza di carta per la fotocopiatrice, nè la privazione del rancio gratuito per i sudditi, portarono grande giovamento al regno.
In più nel piccolo Feudo tutti i baronetti, privati del loro potere, cominciarono a scappare in questo o quell'altro regno. Qualcuno di loro partì per campagne lontane alla ricerca di un esercito mercenario. I feudatari rimasero così privi di riferimenti, brancolando nell'oscurità più assoluta.
C'era poi tra di loro una grossa parte di contadini a cui erano state promesse, tramite accordi sindacali, delle terre, in modo da poter stabilizzare la loro situazione.
Questi contadini, ubriachi da mattina a sera, nel pieno dei festeggiamenti, non avevano pensato di mettere il fieno in cascina per i momenti duri, "tanto ormai la terra ci spetta di diritto!", dicevano "chi può toglierci quello che abbiamo ottenuto?".
Ed invece un dì finesto e trste, arrivò l'Orco Cattivo.
L'Orco Cattivo vantava diritti sul regno di Iwik, ancor prima che la sprovveduta Fata Turchese ne prendesse il comando. Il precedente re, infatti aveva chiesto innumerevoli prestiti all'Orco.
Questi, vedendo che il debito non veniva saldato, iniziò a vendicarsi piano piano, dapprima spegnendo tutte le candele del castello. Poi mandò i suoi sicari a bruciare tutti i raccolti che erano stati ormai anche venduti. Per cui ci furono anche famiglie che non c'entravano niente col castello, col feudo e col regno e i suoi debiti che rimasero epr giorni e giorni senza cibo!
Ma all'Orco importava poco di questo, infatti ben presto organizzò una campagna di teleselling per potersi accaparrare tutti i clienti che fino ad allora avevano acquistato i raccolti del regno di Iwik.
Allora i sudditi iniziarono a farsi delle domande: "Ma è possibile che Fata Turchese non avesse parlato prima anche con Orco Cattivo?"
"Possibile che non sapesse dei debiti, prima di prendere nelle sue mani il regno?"

Peccato che nessuno diede loro risposte. Peccato che ogni tentativo di creare clamore fosse finito nel vuoto.

Peccato che non ci fossero a quei tempi, nel Medio Evo, giornali, televisioni o radio che potessero diffondere la notizia.
Se una cosa simile capitasse adesso, invece, lo saprebbero tutti.
E i 2000 contadini potrebbero almeno contare sull'appoggio (morale e politico) dei media.

La favola di Dory III - le Segherie

C'era una volta, in un'amena città del nord-est una ... segheria.
Questa segheria in realtà faceva parte di un gruppo di segherie, con tanti operatori segaioli e tanti responsabili seghettari che vi lavoravano sodo e alacremente.
Un giorno si scopre che la Segheria Madre del gruppo ha contratto debiti con i venditori di carburante per seghe per qualche milione di fiornini d'argento e i venditori non accettano più che il debito vada ad accumularsi invece di essere saldato.
I venditori combustibile pertanto decidono di non fornire più il prezioso prodotto, fintantochè la Segheria Madre non avrà saldato il debito.
Pertanto le segherie non riescono a segare.
I responsabili seghettari cadono così in disperazione, in quanto c'è il rischio concreto che le segherie debbano cessare la loro attività.
Mentre nel frattempo, i consapevoli stolti operatori segaioli rimangono convinti che la mancata erogazione del carburante sia al solo fine da parte della Segheria Madre di non permettere il funzionamento della loro macchinetta erogatrice di caffè.
Pertanto decidono di organizzare una serie di scioperi per poter riavere dalla Segheria Madre la macchinetta del caffè.
In tale contesto interviene finalmente Mastro Geppetto: "Oh stolti segaioli! Già che è così vi chiudiamo la segheria!"
Gli stolti ex-operatori allora, ancora non convinti e disoccupati cercarono altre segherie e falegnamerie a cui offrire la loro prestazione di collaborazione, ma nessuno di loro trovò più un posto che potesse accogliere segaioli sprovveduti ed ottusi come loro.

Morale della favola: schiavi moderni sempre ed ancora infinitamente egocentrici

venerdì 6 luglio 2007

La favola di Dory - II

C'era una volta un falegname, di nome Eviol.
Questo simpatico ometto era bravissimo nel suo mestiere, fatto sta che in breve tempo riuscì ad ingrandire la sua falegnameria in maniera tale da poter dare lavoro a tanti falegnami.
Un bel dì Eviol decide di investire tutte le sue monete d'oro in tante falegnamerie sparse per altrettanti regni. In tal modo riesce a dare lavoro a quasi 2000 falegnami.
Molti di questi erano dei gran lavoratori altri dei fannulloni che ben presto sprecarono i soldi guadagnati da Eviol per acquistare inutili calessi aziendali, poltrone di pelle, scrivanie in avorio e cellulari d'oro, degni di un re.
In più Eviol vendeva i suoi prodotti, guadagnando, ma non ripagava i taglialegna che andavano in bosco a procurargli il legno.
Raggiunte tante monete d'oro di debito, Eviol decise di non voler fare la figuraccia di chiudere la baracca. Infatti era diventato un uomo ben visto e ammirato in tutti i regni del mondo.
Decise allora di provare a vendere le sue falegnamerie (con tutti i debiti) ad un povero ed anziano falegname del suo paese, Geppetto.
All'inizio Geppetto fu un padrone molto severo: cacciò tutti gli spreconi e inibì ogni tentativo di spepero, chiuse anche qualche falegnameria improduttiva. Tutti dovevano lavorare giorno e notte per forgiare i più bei mobili e le più belle opere. E non solo: stabilì un modo per restituire i debiti un pò alla volta.
Ma un bel dì i taglialegna però si stufarono e decisero di chiedere tutte le monete e subito, cambiando le carte in tavola: inizialmente minacciarono Geppetto, che da vecchio testardo quale era, non si fece piegare al ricatto.
Così i taglialegna si misero tutti d'accordo: irruppero nelle case dei clienti di Geppetto e bruciarono tutti i mobili e le opere forgiate dalle falegnamerie insolventi!
E così ci andarono di mezzo le povere persone che non solo avevano perso i loro mobili, ma si sentivano fare offerte più costose da parte dei taglialegna per ricostruire i loro oggetti bruciati!
Geppetto non sapeva più che fare, ormai la falegnameria non aveva più credibilità ed in ballo c'erano tanti falegnami che rischiavano di restare senza lavoro.
Quelli che erano rimasti: quelli che avevano sempre lavorato.

Continua...?


Piano: questa è la versione di Geppetto!

mercoledì 4 luglio 2007

Stabilmente precario

Quanto è precario lavorare in un call center.

Ci si scherza, si fa battute, si scrive in un blog e poi ti trovi a scontrarti contro la realtà dello stato dei fatti: qui siamo precari tutti, dipendendi e non, dipendenti più dei collaboratori.
E non hai più voglia di scherzare.

Sono sette anni che lavoro qui dentro.
Mi è sempre mancato il coraggio di rischiare, per "colpa" di quel contratto d'assunzione a tempo indeterminato che mi toglieva ogni disposizione a cercarmi un lavoro diverso.
D'altra parte perchè?

Quante volte mi hanno detto che un callcenter è solo un posto malato: colpa di un Paese che non è riuscito a fare bene le cose per la propria economia, colpa di un Paese che ricorda solo il diritto dell'Imprenditore (del Prestanome, nel caso di certe società) e non quello per cui DEVE adoperarsi: il diritto al lavoro per I GIOVANI.

E invece no, pensiamo alle pensioni...
E' da quando sono bambina che il problema pensioni è al centro di ogni dibattito. A pensarci mi fa ridere: mio padre parlava di pensione già a 30 anni. Amici di mio padre sono andati in pensione a 45 anni.
IO a 33 anni non so se mai avrò una pensione e non riesco nemmeno ad immaginarmela: io non riesco ad immaginarmi nemmeno un pò della stabilità che hanno avuto a suo tempo i miei genitori!

E ti credo, senti quello che dicono in giro gli amici: aziende che chiudono, neomamme licenziate, finti soci di finte cooperative...
E senti come stiamo qui noi, dipendenti di call center: passano gli anni e ti adatti se non ti pagano gli straordinari, sopporti la privazione (senza motivazione) dei buoni pasto, rimani seduto alla stessa scrivania mentre la tua azienda cambia 5 ragioni sociali, e intanto ti compri da solo la cancelleria, tremi ad ogni ritardo dello stipendio, ti arrabbi quando non ti arriva la quattordicesima, speri che la prossima paga ti venga corrisposta.
E poi magari arriva il giorno in cui ti dicono "chissà se lunedì siamo ancora qui..."

Meno male che vivo in affitto, meno male che sono disposta anche ad andare in culo al mondo per lavorare, meno male che non ho legami familiari, meno male che non ho responsabilità, meno male che non ho figli, meno male che ho scelto di fare della mia vita l'emblema della precarità.

Ma che palle.

p.s. se va come temo (ma spero di no!), dalla prossima faccio nomi e cognomi e ogni riferimento NON sarà casuale.