E' iniziato tutto da lì.
Ammiro gli operatori dei Call Center che si sono battuti per far "valere i propri diritti" (anche se ho già detto come la penso sulla situazione dei dipendenti nei call center...), ma purtroppo non è quello che tutti vogliono.
E il problema di fondo sta sicuramente nel fatto che non tutte le persone vogliono le stesse cose.
Mi spiego:
chi tutela quelli che in call center ci lavorano secondo la pura logica della precarietà?
Uno studente che va al lavoro ogni tanto, per tirar sù quei pochi euro per pagarsi la birretta la sera, senza costanza, senda continuità e senza stabilità, adesso perderà ogni diritto?
Quella ragazza che vive con i genitori, che studia e le bastano 200 euro al mese per comprarsi due vestiti?
E la mamma che non ritiene opportuno lavorare per versare tutto il suo stipendio nell'asilo nido e preferisce lasciare per qualche oretta un giorno ogni tanto il figlio per titar sù qualche euro?
E i pensionati che vogliono arrotondare e si sentono ancora attivi?
I diritti di questi dove saranno?
Ma soprattutto: allora è vero che altri hanno deciso per noi?
E' vero che parlano di noi persone che non sanno nulla delle nostre realtà?
Giustissimo assumere chi vuole essere assunto, ma chi NON VUOLE?
quelli non hanno diritti? non possono scegliere? perderanno il lvoro per l'assunzione dei loro colleghi?
Come mai si è partiti verso UNA SOLA direzione (la stabilizzazione), dopo che per anni si è accettata la legge Biagi? come mai non si è pensato di trovare una soluzione che conciliasse le esigenze di tutti?
I call center sono nati anche nella logica del secondo lavoro, dell'arrotondamento e della necessità della mancanza di vincoli. Hanno sbagliato quelli che l'hanno presa come un mestiere o quelli c he l'hanno presa come un non mestiere?
Lo "Stato" ha deciso per noi chi ha fatto l'errore, punendo gli altri?
E vorrei sapere: un NON PRECARIO sottopagato, come farà ad arrotondare un pò, se ovunque vai sembra che devono farti un contratto?
E' vero che sono enormemente ignorante sull'argomento, per cui attendo risposte, ma non torna.
giovedì 26 aprile 2007
lunedì 23 aprile 2007
Chi è disturbato dai call center...
Ore 20.30 Airima rientra a casa.
Da quando ha deciso di cambiare città per esigenze di lavoro, vive da sola.
Ha un monolocale in un quartiere "dormitorio" alla periferia di una grande metropoli e ci rientra solo quando è oramai troppo tardi per rimenere in azienda perchè sono tutti andati via.
Già, perchè tornare a casa, riattaccarsi al pc quando almeno in ufficio ci sono altre persone con te?
Airima si è trasferita da sei mesi, ma la città è troppo grande, troppo caotica e frettolosa per poter stringere qualche rapporto che si porti al di là di quello professionale. E' così che ogni fine settimana scatta la corsa al rientro, nel paese d'origine, alla famiglia e agli amici di sempre.
Solo una settimana fa è riuscita ad uscire dal ritmo monotono lavoro-casa e a concedersi una serata diversa in un pub a bere una birra con a sua collega. Collega che in realtà non le è nemmeno tanto simpatica, così immersa nel lavoro, rigida, chiusa e fredda; ma che fare, l'ufficio si era svuotato presto e l'invito a passare una serata diversa dalla solita a casa davanti internet era piuttosto accattivante.
Era stato lì che aveva conosciuto un tale. Alla quarta birra, mentre la collega la osservava imbarazzata, Airima si era sciolta e aveva quindi trovato il coraggio di dar corda ad un tizio che conosceva solo di vista.
Questa persona l'attraeva, ma non aveva mai potuto avvicinarlo, trattandosi un fornitore della sua azienda, che dal suo ufficio faceva solo toccata e fuga.
Quella sera si era invece rivelata l'occasione giusta e la situazione si era sviluppata nella maniera più ottimale, dato che alla fine il tizio si era segnato il suo numero di telefono. Lei gli aveva deato il cellulare, ma l'aveva avvisato "siccome ce l'ho sempre spento ti do anche quello di casa, non lo uso mai, mi ci chiamano solo i miei e l'ho allaccaito per l'internet".
Il tizio non si era più visto passare in ufficio da quella volta, tantomeno aveva chiamato al cellulare. Airima ci sperava, però, e continuava a dirsi che tanto avrà trovato il cellulare spento, che lì dove abitava non aveva campo...
In più due giorni prima rincasando aveva trovato sul cordless di casa due chiamate non risposte, numero "privato".
Ore 20.35 Airima comincia a condire l'insalata, l'unico pasto che riesce a preparare in velocità, le passa un pensiero per la testa, controlla il telefono di casa: una chiamata non risposta, numero privato. Di nuovo.
Di colpo si fionda verso il cellulare, l'aveva lasciato spento. L'accende, niente messaggi e niente chiamate. Magari il tizio ha trovato il cellulare spento e ha provato sul fisso.
Pazienza. Se è interessato sicuramente richiama.
Ore 20.40 Airima comincia a mangiare, guardando sul televideo cosa daranno la sera in tv. Niente di niente, solo cazzate e non ha voglia di rimettersi al pc, non sa più cosa cercare in internet, non ha nemmeno sonno...
Ore 20.45 squilla il telefono di casa.
Airima afferra il cordless e subito butta l'occhio sul numero del chiamante.
Non è sua madre, non appare il numero, è privato.
Lascia squillare. Che non sembri che non ha proprio un cazzo da fare se non rispondere al telefono dopo mezzo squillo.
Al terzo squillo, in uno statpo di eccitazione, mista a dubbio, certezza, ansia e gioia, Airina calca il pulsantino verde del cordless, avvicina il telefono:
"Pronto", risponde
"Buongiorno sono Arianna di X25, la compagnia telefonica, volevo parlare con la signora Airina..." Un secondo in linea, senza rispondere e per riflesso di rabbia il pollice di Airina pigia il tasto rosso del cordless.
Sia chiaro, non voglio fare la scrittrice, voglio solo dare spiegazioni attraverso le situazioni della vita.
In effetti chi può dire di essere disturbato dalle compagnie telefoniche e quindi dai call center?
Qual'è il reale fastidio che arrecano queste telefonate?
A me sinceramente nessuna e non perchè ci sono dentro, ma proprio perchè non capisco che disturbo ci sia. diciamo invece la realtà: al di là della scarsa verosimilità della storia di Airima, la verità è che ci da fastidio la delusione che proviamo rispondendo al telefono, convinti che sia qualcuno ed invece è una compagnia telefonica. E quindi? tutti a fare i seccati e a sentirsi invasi nella loro privacy. Ma per favore, che se non ci fossero le compagnie telefoniche che li chiamano c'è gente che il telefono di casa non gli squilla neanche a pagarlo.
Per colpa di questi stressati, violati nella loro sfera privata, disturbati, violentati mentre cenano o si annoiano guardando il TG, c'è gente che rischia il proprio posto di lavoro.
O meglio, per la strumentalizzazione che al giorno d'oggi c'è del termine privacy e di ogni ambito che la riguarda, permettiamo di dare l'alibi a chi c'è sopra di noi per fare chissà quali basse manovrine.
Da quando ha deciso di cambiare città per esigenze di lavoro, vive da sola.
Ha un monolocale in un quartiere "dormitorio" alla periferia di una grande metropoli e ci rientra solo quando è oramai troppo tardi per rimenere in azienda perchè sono tutti andati via.
Già, perchè tornare a casa, riattaccarsi al pc quando almeno in ufficio ci sono altre persone con te?
Airima si è trasferita da sei mesi, ma la città è troppo grande, troppo caotica e frettolosa per poter stringere qualche rapporto che si porti al di là di quello professionale. E' così che ogni fine settimana scatta la corsa al rientro, nel paese d'origine, alla famiglia e agli amici di sempre.
Solo una settimana fa è riuscita ad uscire dal ritmo monotono lavoro-casa e a concedersi una serata diversa in un pub a bere una birra con a sua collega. Collega che in realtà non le è nemmeno tanto simpatica, così immersa nel lavoro, rigida, chiusa e fredda; ma che fare, l'ufficio si era svuotato presto e l'invito a passare una serata diversa dalla solita a casa davanti internet era piuttosto accattivante.
Era stato lì che aveva conosciuto un tale. Alla quarta birra, mentre la collega la osservava imbarazzata, Airima si era sciolta e aveva quindi trovato il coraggio di dar corda ad un tizio che conosceva solo di vista.
Questa persona l'attraeva, ma non aveva mai potuto avvicinarlo, trattandosi un fornitore della sua azienda, che dal suo ufficio faceva solo toccata e fuga.
Quella sera si era invece rivelata l'occasione giusta e la situazione si era sviluppata nella maniera più ottimale, dato che alla fine il tizio si era segnato il suo numero di telefono. Lei gli aveva deato il cellulare, ma l'aveva avvisato "siccome ce l'ho sempre spento ti do anche quello di casa, non lo uso mai, mi ci chiamano solo i miei e l'ho allaccaito per l'internet".
Il tizio non si era più visto passare in ufficio da quella volta, tantomeno aveva chiamato al cellulare. Airima ci sperava, però, e continuava a dirsi che tanto avrà trovato il cellulare spento, che lì dove abitava non aveva campo...
In più due giorni prima rincasando aveva trovato sul cordless di casa due chiamate non risposte, numero "privato".
Ore 20.35 Airima comincia a condire l'insalata, l'unico pasto che riesce a preparare in velocità, le passa un pensiero per la testa, controlla il telefono di casa: una chiamata non risposta, numero privato. Di nuovo.
Di colpo si fionda verso il cellulare, l'aveva lasciato spento. L'accende, niente messaggi e niente chiamate. Magari il tizio ha trovato il cellulare spento e ha provato sul fisso.
Pazienza. Se è interessato sicuramente richiama.
Ore 20.40 Airima comincia a mangiare, guardando sul televideo cosa daranno la sera in tv. Niente di niente, solo cazzate e non ha voglia di rimettersi al pc, non sa più cosa cercare in internet, non ha nemmeno sonno...
Ore 20.45 squilla il telefono di casa.
Airima afferra il cordless e subito butta l'occhio sul numero del chiamante.
Non è sua madre, non appare il numero, è privato.
Lascia squillare. Che non sembri che non ha proprio un cazzo da fare se non rispondere al telefono dopo mezzo squillo.
Al terzo squillo, in uno statpo di eccitazione, mista a dubbio, certezza, ansia e gioia, Airina calca il pulsantino verde del cordless, avvicina il telefono:
"Pronto", risponde
"Buongiorno sono Arianna di X25, la compagnia telefonica, volevo parlare con la signora Airina..." Un secondo in linea, senza rispondere e per riflesso di rabbia il pollice di Airina pigia il tasto rosso del cordless.
Sia chiaro, non voglio fare la scrittrice, voglio solo dare spiegazioni attraverso le situazioni della vita.
In effetti chi può dire di essere disturbato dalle compagnie telefoniche e quindi dai call center?
Qual'è il reale fastidio che arrecano queste telefonate?
A me sinceramente nessuna e non perchè ci sono dentro, ma proprio perchè non capisco che disturbo ci sia. diciamo invece la realtà: al di là della scarsa verosimilità della storia di Airima, la verità è che ci da fastidio la delusione che proviamo rispondendo al telefono, convinti che sia qualcuno ed invece è una compagnia telefonica. E quindi? tutti a fare i seccati e a sentirsi invasi nella loro privacy. Ma per favore, che se non ci fossero le compagnie telefoniche che li chiamano c'è gente che il telefono di casa non gli squilla neanche a pagarlo.
Per colpa di questi stressati, violati nella loro sfera privata, disturbati, violentati mentre cenano o si annoiano guardando il TG, c'è gente che rischia il proprio posto di lavoro.
O meglio, per la strumentalizzazione che al giorno d'oggi c'è del termine privacy e di ogni ambito che la riguarda, permettiamo di dare l'alibi a chi c'è sopra di noi per fare chissà quali basse manovrine.
venerdì 20 aprile 2007
Perchè precariato a tempo indeterminato
Perchè ultimamente si specula troppo sui co.pro, sui co.co.co, sugli occasionali ecc.
E allora ho aperto questo blog per dire la mia, vi racconto una storia:
"Ho iniziato a lavorare in un call center 7 anni fa, con ritenuta d'acconto. Dopo un anno mi hanno passata ad un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ai tempi ci sembrava oro, per l'ignoranza che aleggiava intorno a queste forme contrattuali e per la fame di lavoro che c'era in questa città.
Ho iniziato per arrotondare, lavoravo nel campo scientifico con contratti da 100.000 lire al mese, e avevo bisogno di qualcosa di più per riuscire a sbarcare il lunario.
Sono andata avanti così, finchè un giorno non mi si è presentata un'"occasione": fare la responsabile della sala. La mansione richiedeva un impegno orario maggiore, quindi la rinuncia a continuare a inseguire l'inutile sogno di fare la "ricercatrice". Ed ho scelto di continuare nel call center. Volevo andare via di casa e questa era l'occasione giusta per farlo.
Ho quindi cominciato a fare i primi veri passi in un mondo diverso, ho cercato di pormi come quella che imparava tutto sommato un mestiere nuovo, fatto di "code", script e report...
Gli amici sminuivano il mio lavoro, etichettando la mia azienda come una di seconda classe, svilendo le mie mansioni e non credendo che stessi crescendo in una vera professione. I miei genitori sapevano ben poco di quello che facevo: "Mah, lavora coi telefoni...". In alcuni casi tutto si mascherava dietro al nome dell'azienda principale committente, per togliersi dall'imbarazzo di dover dire dove lavoravo.
Ma per stemperare questa tragicità vi dico anche che in 7 anni ho conosciuto più di un centinaio di persone, mille realtà e con tanti ho stretto rapporti che andavano in là rispetto al lavorativo.
Sono cresciuta dentro, sono maturata e tante scelte sono state condizionate da questo lavoro.
E c'è da dire che lavoro me ne hanno sempre dato: nei momenti di crisi, con la sala vuota ho avuto sempre chi credeva in me e nelle mie capacità e dimostrando tutta la mia buona volontà ho ottenuto che nessuno mai pensasse neanche lontanamente di "togliermi ore"(e quindi soldi in busta paga...).
Un giorno sono stata premiata con l'assunzione. Assunzione a tempo indeterminato da subito.
Ed è andata avanti così per anni... ma in fondo cosa è cambiato?
La posizione latente è sempre quella, precaria.
Non sputo su ferie, malattia e TFR, lungi da me farlo!
Ma il call center dipende pur sempre dai committenti, e i committenti sono quelli che non vogliono assumenre in casa loro la gente...
se non c'è il committente il call center non sta in piedi
se non si sta nei costi il call center va in perdita
e credetemi che in un call center i soldi sono davvero pochi...
La morale?
E' che nonostante il mio contratto in questi ultimi anni ho sempre vissuto comunque sul filo del rasoio: se fare un mutuo o meno, se trovare un altro lavoro etc.
La caratteristica di queste aziende è l'instabilità. La dipendenza da altre imprese. Si può dire "E che c'entra, sai quante aziende sono in queste condizioni?"
certo, con l'unica differenza che in questi mesi si pensa tanto a far assumere le persone DAI call center, senza capire che i call center esistono SOLO PERCHE' ALTRI NON VOGLIONO INVESTIRE SUI GIOVANI E SUL NUOVO PERSONALE.
E così, anche quei pochi dipendenti stanno tribolando, nel pensiero che i committenti molleranno quando si vedranno alzati i prezzi e nel pensiero di vedersi privati anche di quel poco che hanno ottenuto.
Il dipendente è precario come il precario stesso, con il ricatto dell'assunzione, che ti ci fa pensare 1000 volte prima di andartene per chissà cosa.
Che qualcuno mi dica se sbaglio."
In quanti si possono riconoscere in questa storia?
E allora ho aperto questo blog per dire la mia, vi racconto una storia:
"Ho iniziato a lavorare in un call center 7 anni fa, con ritenuta d'acconto. Dopo un anno mi hanno passata ad un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ai tempi ci sembrava oro, per l'ignoranza che aleggiava intorno a queste forme contrattuali e per la fame di lavoro che c'era in questa città.
Ho iniziato per arrotondare, lavoravo nel campo scientifico con contratti da 100.000 lire al mese, e avevo bisogno di qualcosa di più per riuscire a sbarcare il lunario.
Sono andata avanti così, finchè un giorno non mi si è presentata un'"occasione": fare la responsabile della sala. La mansione richiedeva un impegno orario maggiore, quindi la rinuncia a continuare a inseguire l'inutile sogno di fare la "ricercatrice". Ed ho scelto di continuare nel call center. Volevo andare via di casa e questa era l'occasione giusta per farlo.
Ho quindi cominciato a fare i primi veri passi in un mondo diverso, ho cercato di pormi come quella che imparava tutto sommato un mestiere nuovo, fatto di "code", script e report...
Gli amici sminuivano il mio lavoro, etichettando la mia azienda come una di seconda classe, svilendo le mie mansioni e non credendo che stessi crescendo in una vera professione. I miei genitori sapevano ben poco di quello che facevo: "Mah, lavora coi telefoni...". In alcuni casi tutto si mascherava dietro al nome dell'azienda principale committente, per togliersi dall'imbarazzo di dover dire dove lavoravo.
Ma per stemperare questa tragicità vi dico anche che in 7 anni ho conosciuto più di un centinaio di persone, mille realtà e con tanti ho stretto rapporti che andavano in là rispetto al lavorativo.
Sono cresciuta dentro, sono maturata e tante scelte sono state condizionate da questo lavoro.
E c'è da dire che lavoro me ne hanno sempre dato: nei momenti di crisi, con la sala vuota ho avuto sempre chi credeva in me e nelle mie capacità e dimostrando tutta la mia buona volontà ho ottenuto che nessuno mai pensasse neanche lontanamente di "togliermi ore"(e quindi soldi in busta paga...).
Un giorno sono stata premiata con l'assunzione. Assunzione a tempo indeterminato da subito.
Ed è andata avanti così per anni... ma in fondo cosa è cambiato?
La posizione latente è sempre quella, precaria.
Non sputo su ferie, malattia e TFR, lungi da me farlo!
Ma il call center dipende pur sempre dai committenti, e i committenti sono quelli che non vogliono assumenre in casa loro la gente...
se non c'è il committente il call center non sta in piedi
se non si sta nei costi il call center va in perdita
e credetemi che in un call center i soldi sono davvero pochi...
La morale?
E' che nonostante il mio contratto in questi ultimi anni ho sempre vissuto comunque sul filo del rasoio: se fare un mutuo o meno, se trovare un altro lavoro etc.
La caratteristica di queste aziende è l'instabilità. La dipendenza da altre imprese. Si può dire "E che c'entra, sai quante aziende sono in queste condizioni?"
certo, con l'unica differenza che in questi mesi si pensa tanto a far assumere le persone DAI call center, senza capire che i call center esistono SOLO PERCHE' ALTRI NON VOGLIONO INVESTIRE SUI GIOVANI E SUL NUOVO PERSONALE.
E così, anche quei pochi dipendenti stanno tribolando, nel pensiero che i committenti molleranno quando si vedranno alzati i prezzi e nel pensiero di vedersi privati anche di quel poco che hanno ottenuto.
Il dipendente è precario come il precario stesso, con il ricatto dell'assunzione, che ti ci fa pensare 1000 volte prima di andartene per chissà cosa.
Che qualcuno mi dica se sbaglio."
In quanti si possono riconoscere in questa storia?
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giovedì 19 aprile 2007
C’era una volta…- la favola di Dory, L'INEDITO
C’era una volta un Re. Questo re era grande, potente e spregiudicato. I suoi sudditi avevano paura di lui, ma allo stesso tempo si affidavano a lui, perché nonostante questo re li sfruttasse promettendo loro ricchezza e felicità, egli era un bravo uomo, che sapeva tante cose.
Un giorno il re scoprì che il suo regno non era più ricco e florido e decise di accettare gli aiuti di una grande Nazione che prometteva di tornare agli antichi fasti.
Purtroppo così non fu e ben presto il re disilluso abdicò.
I sudditi gioirono e festeggiarono per giorni la loro ritrovata libertà. Finché un brutto dì giunsero da molto lontano gli ambasciatori della Nazione (che mai si erano visti fino ad allora!) a chiedere il conto di quanto avevano fatto fino ad allora: "Adesso siete i nostri sudditi" dissero "e lavorerete solo per noi".
Ben presto incornarono un nuovo re troppo giovane per fare il sovrano. Questo Re veniva da lontano e non conosceva bene il regno in cui si era insediato. Per prima cosa pose un editto per i suoi sudditi e proibì in tutto il reame ogni sorta di festeggiamento.
I tristi sudditi cominciarono allora ad insorgere contro l’incauto sovrano, che ben presto abdicò.
Fu allora che i rappresentanti della Nazione dissero: "Forse i nostri sudditi hanno bisogno di una Regina?"
E la Regina arrivò. All’inizio la popolazione era scettica, aveva paura, date le delusioni dei precedenti regnanti. Ma la nuova sovrana cominciò subito a pagare di più il raccolto dei suoi servi e nominò alcuni di loro come suoi Cavalieri.
I sudditi rimasero colpiti da tanta benevolenza e cominciarono a lodare la regina.
La Nazione era contenta di ciò: infatti i suoi contadini lavoravano lo stesso per poco denaro, ma erano illusi che i loro raccolti erano comunque ben pagati.
Un bel dì qualcuno di potente, più della Nazione stessa, si intromise e disse ai rappresentanti della Nazione: "Ho scoperto che i tuoi servi lavorano i campi dall’alba al tramonto, arano, seminano, e raccolgono e i loro frutti tu non solo li paghi poco, ma addirittura non assicuri nulla per la sicurezza del tuo popolo! Quando si ammalano non lavorano e se non lavorano che frutti potranno dare i loro campi? E se non possono mai riposare, come faranno a dar da mangiare alle loro famiglie?"
La nazione rimase sconcertata, perché il potente che l’aveva rimproverata era davvero grande e invincibile e nessuno poteva nulla contro di lui. Capì di essere in pericolo e decise di riunire da ogni dove tutti i suoi esperti, i suoi colti e conoscitori per trovare una soluzione. Passarono lunghi giorni e lunghe notti a riflettere tutti assieme per trovare una soluzione, ma il raccolto dei contadini era l’unica risorsa per la Nazione e non c’era possibilità di farli fermare un attimo. Inoltre le altre nazioni con cui venivano mercanteggiati i raccolti del regno non volevano pagare di più, ma al contrario chiedevano sempre di più e per sempre meno soldi. La Nazione non aveva i soldi per pagare il riposo dei suoi contadini. E fu così che giunsero tutti all’unica inesorabile e compianta decisione: "Radiamo al suolo il regno, cacciamo la regina, i suoi nobili, i suoi cavalieri e i sudditi. Bruciamo i campi e rendiamoli infertili, è l’unica soluzione".
Il potente così capì che aveva recato danno pur volendo far del bene.
A pochi giorni di lì un esercito di soldati giunse nel regno e fece quanto gli era stato ordinato. Rase al suolo il regno, bruciò i campi e cacciò i sudditi che diventarono persone libere.
Si sparsero per ogni luogo della terra, alla ricerca di campi più fertili da coltivare e di re che li accogliessero sotto di loro. E trovarono ognuno qualcosa: alcuni un re buono, altri scoprirono di avere nuovi talenti, altri ebbero il tempo di fare cose che non avevano mai potuto fare.
Nessuno rimpianse più la Nazione e tutti vissero felici e contenti.
Continua?
Un giorno il re scoprì che il suo regno non era più ricco e florido e decise di accettare gli aiuti di una grande Nazione che prometteva di tornare agli antichi fasti.
Purtroppo così non fu e ben presto il re disilluso abdicò.
I sudditi gioirono e festeggiarono per giorni la loro ritrovata libertà. Finché un brutto dì giunsero da molto lontano gli ambasciatori della Nazione (che mai si erano visti fino ad allora!) a chiedere il conto di quanto avevano fatto fino ad allora: "Adesso siete i nostri sudditi" dissero "e lavorerete solo per noi".
Ben presto incornarono un nuovo re troppo giovane per fare il sovrano. Questo Re veniva da lontano e non conosceva bene il regno in cui si era insediato. Per prima cosa pose un editto per i suoi sudditi e proibì in tutto il reame ogni sorta di festeggiamento.
I tristi sudditi cominciarono allora ad insorgere contro l’incauto sovrano, che ben presto abdicò.
Fu allora che i rappresentanti della Nazione dissero: "Forse i nostri sudditi hanno bisogno di una Regina?"
E la Regina arrivò. All’inizio la popolazione era scettica, aveva paura, date le delusioni dei precedenti regnanti. Ma la nuova sovrana cominciò subito a pagare di più il raccolto dei suoi servi e nominò alcuni di loro come suoi Cavalieri.
I sudditi rimasero colpiti da tanta benevolenza e cominciarono a lodare la regina.
La Nazione era contenta di ciò: infatti i suoi contadini lavoravano lo stesso per poco denaro, ma erano illusi che i loro raccolti erano comunque ben pagati.
Un bel dì qualcuno di potente, più della Nazione stessa, si intromise e disse ai rappresentanti della Nazione: "Ho scoperto che i tuoi servi lavorano i campi dall’alba al tramonto, arano, seminano, e raccolgono e i loro frutti tu non solo li paghi poco, ma addirittura non assicuri nulla per la sicurezza del tuo popolo! Quando si ammalano non lavorano e se non lavorano che frutti potranno dare i loro campi? E se non possono mai riposare, come faranno a dar da mangiare alle loro famiglie?"
La nazione rimase sconcertata, perché il potente che l’aveva rimproverata era davvero grande e invincibile e nessuno poteva nulla contro di lui. Capì di essere in pericolo e decise di riunire da ogni dove tutti i suoi esperti, i suoi colti e conoscitori per trovare una soluzione. Passarono lunghi giorni e lunghe notti a riflettere tutti assieme per trovare una soluzione, ma il raccolto dei contadini era l’unica risorsa per la Nazione e non c’era possibilità di farli fermare un attimo. Inoltre le altre nazioni con cui venivano mercanteggiati i raccolti del regno non volevano pagare di più, ma al contrario chiedevano sempre di più e per sempre meno soldi. La Nazione non aveva i soldi per pagare il riposo dei suoi contadini. E fu così che giunsero tutti all’unica inesorabile e compianta decisione: "Radiamo al suolo il regno, cacciamo la regina, i suoi nobili, i suoi cavalieri e i sudditi. Bruciamo i campi e rendiamoli infertili, è l’unica soluzione".
Il potente così capì che aveva recato danno pur volendo far del bene.
A pochi giorni di lì un esercito di soldati giunse nel regno e fece quanto gli era stato ordinato. Rase al suolo il regno, bruciò i campi e cacciò i sudditi che diventarono persone libere.
Si sparsero per ogni luogo della terra, alla ricerca di campi più fertili da coltivare e di re che li accogliessero sotto di loro. E trovarono ognuno qualcosa: alcuni un re buono, altri scoprirono di avere nuovi talenti, altri ebbero il tempo di fare cose che non avevano mai potuto fare.
Nessuno rimpianse più la Nazione e tutti vissero felici e contenti.
Continua?
Lo sfogo di Dory - BENVENUTI NEL CALL CENTER APPESO A UN FILO…
Ovvero storie di ordinaria precarietà…
Siete tutti benvenuti nel call center appeso a un filo: il call center dei cococo, dei copro, degli occasionali e di ben pochi dipendenti...
Dove le vite cambiano, dove si piange, si ride e si scherza, e dove ci si laurea, ci si sposa, ci si separa e , incredibile, si fanno anche figli.
Dove tutti diciamo "me ne voglio andare", eppure siamo qui da anni. Qui tutti crediamo di essere solo di passaggio, ma prendiamo a cuore tutte le questioni.
In questo posto abbiamo venduto telefoni, vestiti, giornali, libri e vini e siamo indispensabili per chi ha un lavoro più importante di noi. Qui ci telefonano banche e assicurazioni, convinti di essere tutto lo scibile umano, ma chissà perché hanno bisogno di noi.
Benvenuti, perché in quest’ufficio vi accogliamo col sorriso (telefonico…), ma all’occorrenza chiunque è pronto a tagliarti i panni addosso… e chissà perché dato che siamo solo di passaggio!
Questo è il Call Center dove siamo indispensabili ed essenziali per i nostri clienti, che non ci danno mai ragione. Neppure per un perdonabile errore tra una chiamata e l’altra.
E ci chiamano colleghi, operatori e quando ci vogliono lusingare un po’ diventiamo addirittura AGENTI.
Facciamo Help Desk, Customer Care, Customer Satisfaction, Teleselling, Telemarketing, Backoffice, ma chissà perché sul curriculum non serve a niente scriverlo.
Quando lavoriamo siamo available, se rispondiamo siamo on call, e se chiamiamo siamo in outbound e ci arrabbiamo se il supervisor ci toglie il follow up.
E siamo anche un ufficio, in cui gli unici dipendenti, chissà perché, si lamentano sempre…
Siamo quel Call Center a Trieste, la filiale "dislocata" in cui non sappiamo nulla di quelli che ci stanno sopra e soprattutto LORO non sanno nulla di noi. Sono quelli che vengono da Milano, che passano per la sala solo per andare in bagno, che non salutano, che non sanno che cosa facciamo e sicuro non se l’immaginano neppure, ma chissà perché sono convinti di sapere tutto di noi.
Benvenuti nel Call Center dove se ti si guasta il PC lo devi dire al Supervisor, che avvisa il responsabile, che riferisce al CCM che chiama l’ufficio amministrativo, intanto speri che ti mettano presto inattivo per non farti entrare una chiamata. Il Call Center in cui l’Asset Management ha un diagramma trasversale con linea retta tendente all’infinito, dove tutti fanno tutto, ma lo fanno sbuffando.
Benvenuti nel Call Center dove chi lavora meno è il più stressato, dove alcuni passano ore a cercare l’errore altrui e quando lo trovano in cuor loro esultano!
Questo, signori, è il Call Center in cui le regole si dispongono per lavorare di meno e le eccezioni te le devi guadagnare e meritare.
Ma è anche l’ufficio dove non si può navigare in Internet, non si può rispondere al cellulare, non si può leggere quotidiani, eppure lo facciamo tutti.
E nessuno ci ha mai detto nulla.
Con le sue contraddizioni, le sue illusioni, le sue beffe questo è pur sempre un Call Center piacevole, allegro e ricreativo, una palestra fondamentale, dove possiamo ancora imparare qualcosa dalla fauna umana e dove non necessariamente ci dobbiamo ritenere dei pellegrini.
Siete tutti benvenuti nel call center appeso a un filo: il call center dei cococo, dei copro, degli occasionali e di ben pochi dipendenti...
Dove le vite cambiano, dove si piange, si ride e si scherza, e dove ci si laurea, ci si sposa, ci si separa e , incredibile, si fanno anche figli.
Dove tutti diciamo "me ne voglio andare", eppure siamo qui da anni. Qui tutti crediamo di essere solo di passaggio, ma prendiamo a cuore tutte le questioni.
In questo posto abbiamo venduto telefoni, vestiti, giornali, libri e vini e siamo indispensabili per chi ha un lavoro più importante di noi. Qui ci telefonano banche e assicurazioni, convinti di essere tutto lo scibile umano, ma chissà perché hanno bisogno di noi.
Benvenuti, perché in quest’ufficio vi accogliamo col sorriso (telefonico…), ma all’occorrenza chiunque è pronto a tagliarti i panni addosso… e chissà perché dato che siamo solo di passaggio!
Questo è il Call Center dove siamo indispensabili ed essenziali per i nostri clienti, che non ci danno mai ragione. Neppure per un perdonabile errore tra una chiamata e l’altra.
E ci chiamano colleghi, operatori e quando ci vogliono lusingare un po’ diventiamo addirittura AGENTI.
Facciamo Help Desk, Customer Care, Customer Satisfaction, Teleselling, Telemarketing, Backoffice, ma chissà perché sul curriculum non serve a niente scriverlo.
Quando lavoriamo siamo available, se rispondiamo siamo on call, e se chiamiamo siamo in outbound e ci arrabbiamo se il supervisor ci toglie il follow up.
E siamo anche un ufficio, in cui gli unici dipendenti, chissà perché, si lamentano sempre…
Siamo quel Call Center a Trieste, la filiale "dislocata" in cui non sappiamo nulla di quelli che ci stanno sopra e soprattutto LORO non sanno nulla di noi. Sono quelli che vengono da Milano, che passano per la sala solo per andare in bagno, che non salutano, che non sanno che cosa facciamo e sicuro non se l’immaginano neppure, ma chissà perché sono convinti di sapere tutto di noi.
Benvenuti nel Call Center dove se ti si guasta il PC lo devi dire al Supervisor, che avvisa il responsabile, che riferisce al CCM che chiama l’ufficio amministrativo, intanto speri che ti mettano presto inattivo per non farti entrare una chiamata. Il Call Center in cui l’Asset Management ha un diagramma trasversale con linea retta tendente all’infinito, dove tutti fanno tutto, ma lo fanno sbuffando.
Benvenuti nel Call Center dove chi lavora meno è il più stressato, dove alcuni passano ore a cercare l’errore altrui e quando lo trovano in cuor loro esultano!
Questo, signori, è il Call Center in cui le regole si dispongono per lavorare di meno e le eccezioni te le devi guadagnare e meritare.
Ma è anche l’ufficio dove non si può navigare in Internet, non si può rispondere al cellulare, non si può leggere quotidiani, eppure lo facciamo tutti.
E nessuno ci ha mai detto nulla.
Con le sue contraddizioni, le sue illusioni, le sue beffe questo è pur sempre un Call Center piacevole, allegro e ricreativo, una palestra fondamentale, dove possiamo ancora imparare qualcosa dalla fauna umana e dove non necessariamente ci dobbiamo ritenere dei pellegrini.
Pablo Neruda - Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e non cambia il colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore ed ai sentimenti
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incerto pur di inseguire un sogno
chi non si permette, almeno per una volta nella vita,
di fuggire i consigli sensati
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce
Evitiamo la morte a piccole dosi
ricordando sempre che l'essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e non cambia il colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco ed i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore ed ai sentimenti
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incerto pur di inseguire un sogno
chi non si permette, almeno per una volta nella vita,
di fuggire i consigli sensati
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce
Evitiamo la morte a piccole dosi
ricordando sempre che l'essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.
A chi pensa che la precarietà non sia solo una stato occupazionale
... chi sente calpestati i propri diritti perchè "ci sono altre priorità"
... chi vive in affitto
... chi vive in provincia
... chi ha avuto il coraggio di cambiare in favore della sua libertà
... chi adora la birra
... chi si mette di traverso, sbagliando sempre il contesto
... chi ha sempre pagato le conseguenze
... chi dopo ogni delusione è riuscito a cadere in piedi
... chi ha saputo risalire la china
... chi sente calpestati i propri diritti perchè "ci sono altre priorità"
... chi vive in affitto
... chi vive in provincia
... chi ha avuto il coraggio di cambiare in favore della sua libertà
... chi adora la birra
... chi si mette di traverso, sbagliando sempre il contesto
... chi ha sempre pagato le conseguenze
... chi dopo ogni delusione è riuscito a cadere in piedi
... chi ha saputo risalire la china
e a tutti quelli che pensano che quest'Italia sia troppo difficile e troppo complicata per poter essere vissuta serenamente da un trentenne!
(o giù di lì)
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